C’è un grande assente nel dibattito politico di questi giorni in Sicilia: la lotta alla mafia. Per certi versi si tratta di un’assenza prevedibile, considerando di quanto l’antimafia si sia rivelato un tema estremamente scivoloso in questi ultimi tempi. Le recenti inchieste sulla gestione dei beni confiscati e sugli affari di quei rappresentanti dell’imprenditoria come Lo Bello, Montante ed Helg che avevano fatto sperare in un sincero cambio di rotta di Confindustria Sicilia hanno creato non poche crepe nella narrazione legalitaria che fino a qualche anno fa si era affermata. Allo stesso tempo, molti amministratori hanno spesso utilizzato il tema dell’antimafia come una sorta di passamontagna dietro cui nascondere (nel migliore dei casi) insufficienti capacità gestionali o addirittura per depistare l’attenzione mediatica rispetto agli affari portati avanti nelle segrete stanze. Il governo Crocetta, che fino a prova contraria non può essere accusato di commistioni con la mafia, ha utilizzato in maniera talmente confusionaria la tematica da aver probabilmente convinto alla prudenza gran parte dei candidati.
E’ vero, Claudio Fava dall’alto della sua storia ha usato parole forti anche nelle ultime ore a proposito delle potenziali infiltrazioni mafiose nelle liste. In maniera più contraddittoria lo ha fatto anche Nello Musumeci, che però ha dovuto ingoiare nella sua coalizione alcuni nomi di cui avrebbe fatto volentieri a meno e che fanno a pugni con la sua integerrima biografia. Poco o nulla ha detto Fabrizio Micari, che però ha piazzato nella sua squadra assessoriale Franco La Torre, annunciando di volergli assegnare la delega alla legalità (l’auspicio è che, nel caso di vittoria del rettore, non debba mai soffrire l’isolamento e l’ostracismo subito da Lucia Borsellino da assessore alla sanità). Cancelleri ha stilato un’interessante lista di “impresentabili”, salvo dover arretrare nel giro di 24 ore scusandosi con un paio di loro su cui ha dimostrato di aver informazioni un po’ confuse.
Tuttavia, al di là dei candidati alla presidenza, ciò che inquieta è la fin qui totale incapacità dei candidati all’Ars della provincia di Trapani di spendere almeno una parola sulla lotta alla mafia. Come se non vivessero nella terra di Matteo Messina Denaro, definita ancora “lo zoccolo duro di Cosa Nostra in Sicilia”. La terra delle inchieste giudiziarie che hanno svelato inquietanti intrecci tra mafia e politica, delle logge massoniche segrete che si infiltrano a destra e a manca, dei Consigli comunali commissariati. Difficilmente sentiremo i nostri candidati parlare di tutto questo (perchè in fin dei conti anche i mafiosi votano): più probabilmente ci ripeteranno che “il turismo è il volano dell’economia”, che “i giovani sono il nostro futuro” e che “bisogna votare un proprio concittadino”. Tutto giusto e condivisibile, per carità. Ma nel frattempo c’è chi ha già contattato qualche capobastone di fiducia per il solito tour dei quartieri popolari, armato di “buoni pasto” o banconote da 100 €, nella convinzione che il voto debba sì essere, come recita la nostra Costituzione “personale, libero e segreto”, ma a partire dalla prossima campagna elettorale.