Nei giorni scorsi, durante l’evento Blue Sea Land – l’Expo dei Distretti Agroalimentari del Mediterraneo, dell’Africa e del Medio Oriente – giunto alla sua quinta edizione a Mazara del Vallo, si sono tenuti una serie di interessanti incontri sui temi dei distretti, dell’Agroalimentare, delle nuove realtà e delle nuove frontiere economiche. Nel corso di una tavola rotonda in particolare – che ha visto al centro della discussione i distretti produttivi – vari rappresentanti hanno portato la propria esperienza al fine di varare un confronto unanime e senza cercare di disperdere idee e progettazioni. Nel suo intervento, il Presidente del Distretto Pesca, Giovanni Tumbiolo, ha detto delle parole molto rilevanti: “Abbiamo un grande bacino Mediterraneo ed il nostro futuro è l’Africa, creare delle realtà, dei cluster connessi a loro. Non parlo di delocalizzazione. Il sistema Mediterraneo produttivo deve connettersi altrimenti non può competere a livello mondiale, bisogna osare, guardare oltre, valorizzare i distretti”. Fa bene a chiarire Tumbiolo. Il bacino del Mediterraneo può offrire tanto in termini di prodotti agroalimentari e di turismo, ma viene poco valorizzato perché mancano i servizi, mancano i mezzi adeguati, i trasporti, pochi sono gli investimenti.
Si è ricordato anche che l’economia italiana e quella siciliana in particolare, è fatta di piccole e medio-piccole imprese che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti e che anziché farsi la guerra, devono presentarsi più unite che mai sui mercati europei ed internazionali. Non dobbiamo pensare all’Africa come una minaccia da cui si scappa da guerre e da fame. Il continente sta cercando una via, sta conoscendo uno sviluppo, nonostante le tante lotte intestine. Quest’anno peraltro, alcuni paesi come Kenya, Uganda, Costa d’Avorio, hanno registrato una buona crescita, grazie anche alla Cina che è una delle principali potenze a commercializzare con l’Africa. Gli investimenti esteri verso queste aree stanno aumentando ed il Marocco, ad esempio, sta crescendo grazie al commercio di prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato. Non è una nuova forma di colonizzazione 2.0, si badi bene, ma al contrario di fare fronte comune non tanto con l’Europa, realtà che ci appare sempre più lontana, quanto con la vicina Africa. Non si tratta solo di mettere insieme i “piatti della pace”, non si tratta solo di accoglienza. In circa 15 anni nessun organismo sovranazionale è intervenuto per risolvere o ridurre la problematica e non possiamo restare alla finestra. Adesso è il caso di guardare altrove.