10, 20, 50, 500mila volte contro la guerra, l’Italia che scende in Piazza per Gaza

Claudia Marchetti

10, 20, 50, 500mila volte contro la guerra, l’Italia che scende in Piazza per Gaza

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martedì 23 Settembre 2025 - 06:31

C’è un’Italia che scende in strada, occupa le piazze, blocca porti, scuole, autostrade, treni, università. Un’Italia che, per una volta, mette da parte le piccole battaglie quotidiane e guarda oltre il proprio confine, verso Gaza, verso il massacro, verso l’ingiustizia. Sabato, oltre 500mila persone hanno gridato in faccia all’indifferenza, alla complicità, alla narrazione distorta di media e governi: Palestina libera. Da Bolzano a Palermo, da Padova a Cagliari, 65 città italiane si sono sollevate all’unisono, come non accadeva da tempo. Ancona ha visto tra le 4mila e le 7mila persone in piazza, a Trieste erano 7mila, a Padova oltre 10mila. A Cagliari, addirittura 15mila secondo la Questura. Roma e Bologna hanno visto ciascuna oltre 50mila manifestanti, Genova 20mila, Palermo altrettanti. Numeri che parlano da soli, e che non sono frutto di retorica o ingigantimento. Questa è la realtà: l’Italia si è fermata per Gaza.

Eppure, nei notiziari, sembra che a fare notizia siano le vetrine rotte, gli scontri alla stazione centrale di Milano, gli agenti feriti. Ma nelle grandi manifestazioni di massa gli episodi di “disordine pubblico” ci sono sempre stati e non hanno colore politico, servono ad accrescere la rabbia di pochi, a creare diversivi, a guardare il dito e non la luna. Niente di nuovo all’orizzonte se non fosse che faccia più notizia della notizia vera. Ma davvero pensiamo che qualche facinoroso possa coprire le voci di mezzo milione di persone? Che rumore può fare una vetrina infranta, rispetto al silenzio straziante dei bambini sotto le macerie a Gaza? Ieri in quello che rimane di un’ospedale, i medici sono riusciti a far partorire una donna decapitata, hanno salvato la piccola.

Le immagini che arrivano dalla Striscia sono poche, frammentarie, ma bastano per squarciare il cuore: bambini che piangono accanto ai corpi senza vita dei genitori, ospedali rasi al suolo, fame, sete, devastazione. A chi ha ancora un briciolo di umanità, basta poco per capire. E chi è sceso in piazza l’ha capito bene: non si può restare in silenzio davanti a un genocidio. Francesco Staccioli, del direttivo Usb, ha dichiarato: Oggi 500mila persone sono scese in piazza… ma questo è solo l’inizio. Se bloccheranno la flottiglia, siamo pronti a bloccare tutto“. È un messaggio forte, radicale. Ma necessario. Anche il gesto simbolico di bruciare la foto di Meloni con Netanyahu, avvenuto a Torino, per quanto sbagliato sia, non è solo una provocazione: è la denuncia di un governo complice, di un Paese che vende armi a chi le usa contro civili, a chi bombarda scuole, ambulanze, ospedali. L’Italia è il terzo importatore di armi israeliane. È questa la posizione che vogliamo tenere? Oggi più che mai serve chiarezza: non si tratta di essere “pro” o “contro” Israele, non si tratta di schierarsi per partito preso. Si tratta di difendere un diritto fondamentale: quello alla vita, alla dignità, alla libertà di un popolo. E oggi il popolo palestinese è sotto attacco, bombardato, affamato, isolato.

La manifestazione di lunedì è un segnale potente. È la dimostrazione che l’Italia non è cieca né complice. È la prova che la società civile esiste ancora, e sa sollevarsi quando serve. Che siano studenti che occupano Lettere alla Sapienza, portuali che bloccano i carichi di armi, insegnanti, genitori, lavoratori, cittadini comuni. L’Italia che ha marciato per la Palestina ha scelto da che parte stare: dalla parte della pace, della giustizia, dell’umanità. Perché non c’è libertà, né sicurezza, né pace per nessuno, quando dietro di noi, al di là del Mediterraneo, accade tutto questo orrore.

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