Ho camminato sulla piazzetta rifatta antistante l’arco di Garibaldi frettolosamente, senza mai notare le lapidi incastrate sulla pavimentazione. Una sera, allo sbiadire appena della luce solare, i miei occhi caddero per caso su una delle tre lapidi incastonate nel terreno cementato.
Notai che la scritta era in latino. Mi chiesi perchè mai una tale scritta in una lingua ormai desueta e repertata come oggetto museale compaia in bella mostra e perdipiù calpestata dai piedi ignari dei marsalesi indifferenti, grossolani, avidi, estranei ad ogni afflato spirituale e men che mai al prestigio mummificato di una lingua morta e sepolta.
Questa scritta, posta al centro della piazzetta, recita: “Oggi tra le minacce fiorente si erge la città di Lilibeo, celebre tra le prime città della Sicilia, comunemente nota come Marsala” (la trasposizione non segue il segno letterale dello scritto).
L’autore è un certo Cluverio. Rovistando tra i miei ricordi intellettuali (più di quanto don Abbondio si scervellasse intorno al nome di Carneade) non riuscivo a trovare un nome antico o uno pseudonimo che corrispondesse a quello posto in calce alla scritta.
D’altra parte, tale nome, per il solo riferimento al nome moderno della città, non poteva che essere di data recente, vale a dire non proprio dell’antichità classica, né dell’inizio dell’era volgare.
Le mie ricerche mi portarono alal scoperta dello storico e geografo tedesco, vissuto tra il XVI secolo e il XVII secolo, Philipp Cluver.
E’ significativo che il nuovo nome della città fosse già a conoscenza del viaggiatore erudito.
In tutto questo periodo e ben oltre, le opere scientifiche vengono scritte in latino.
Ma la cosa che più mi ha colpito è il fatto che una lingua museale compaia sulla pavimentazione recentissima di una città barbara e volgare come l’odierna Marsala.
Un altro giorno un amico mi ha fatto rilevare un altro scritto latino a nome Diodoro Siculo (ma di lingua greca). Lo scritto recita “Ex eo bibentes vaticinari videntur”. Attingendo ad esso come bevanda sembrano darsi ai vaticini. Da chi o da cosa attingono? Da Lilibeo (ricordiamo che il nome è neutro latino)? Vi si fa riferimento alla fonte cumana?
Comunque le due scritte alludono al passato storico dell’odierna degradata città, peraltro rafforzata da una terza, riferentesi (currit sine dubio) all’eroe patrio Giuseppe Garibaldi.
Chi dunque in mezzo a tanta barbarie è stato ispirato a tal segno da collocare in latino (il cittadino medio, premesso che vi presti attenzione, se ne fa beffe con le sue ganasce orribili e voraci!) tali scritte? E soprattutto, per chi?
Capita che un tipo come lo scrivente, sempre guidato dalle muse e sostenuto dagli dei, si imbatta in portenti del genere e se ne rallegri, ringraziandone il divino ispiratore che illumina le menti ignave e istilla semi di divina sapienza.
Ciò dimostra, grazie agli dei, che il latino è la matrice della nostra identità occidentale ed europea di fronte alle orde barbariche di origine ignota che hanno avvilito e notevolmente abbassato il livello morale della già decrepita cittadinanza marsalese.
Haec scripta sunt signa immortali civitatis romana.
Gioacchino Gruppuso