In Sicilia, l’acqua non è solo un bene primario: è ormai un indicatore della nostra fragilità, dell’incapacità strutturale della politica di affrontare una crisi che non è più emergenza, ma quotidianità. Siamo nel cuore dell’estate del 2025, e interi territori dell’isola e della provincia di Trapani vivono sotto razionamento idrico, con rubinetti a secco per giorni. La Regione rassicura con l’annuncio di tre dissalatori, ma nel frattempo i cittadini fanno la fila per le autobotti, che costano anche 30-35 euro ogni mille litri, a fronte di un costo normale di 2,50 euro. Una speculazione legalizzata, in cui si infilano anche le attività irregolari: solo 86 sono in regola, 9 per i 25 comuni trapanesi. Il capoluogo di Provincia è tra i territori più colpiti: dighe che non trattengono l’acqua, condotte obsolete, guasti continui (dolosi o meno) e l’ormai storica inefficienza della rete idrica di Bresciana. Si è arrivati al punto che Erice e Castelvetrano “donano” parte della loro fornitura al capoluogo, in un surreale ringraziamento istituzionale che certifica la gestione fallimentare del sistema.
La Regione che piange miseria per l’acqua, nel luglio 2024 aveva persino sospeso l’arrivo delle navi cisterna della Marina Militare per motivi economici. Ma evidentemente non è troppo quando si stanziano miliardi per i cantieri del Ponte sullo Stretto, opera che da sola consumerà quantità enormi di acqua. E allora ci si chiede: qual è la priorità della Sicilia oggi? L’acqua o l’illusione di un collegamento futuristico? E non è tutto: mentre manca l’acqua da bere, Goletta Verde certifica che l’acqua del mare è inquinata. Nel trapanese, tre campioni su quattro superano i limiti di legge. Alla foce del fiume Delia a Mazara e a Marinella di Selinunte la balneazione sarebbe pericolosa. Ma spesso manca anche la segnaletica adeguata. Siamo sommersi da inefficienze e da una burocrazia che resta immobile mentre il clima cambia e ci lascia sempre più vulnerabili agli stress idrici. L’acqua, lo ricordiamo, ha un valore economico enorme: vale il 60% del PIL mondiale. In Sicilia vale ancora di più, perché determina la qualità della vita, la salute, la dignità. Ma invece di affrontare la crisi con infrastrutture nuove, reti moderne e una vera strategia, si naviga a vista. O peggio, si va a secco.