A Marsala il tributo fedele di Massimo Ghini a “Il Vedovo” di Dino Risi

Francesco Vinci

A Marsala il tributo fedele di Massimo Ghini a “Il Vedovo” di Dino Risi

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giovedì 11 Dicembre 2025 - 17:13

Accolto da una numerosa partecipazione di pubblico, lo scorso 8 dicembre è andato in scena al Teatro Impero di Marsala Il vedovo, uno spettacolo interpretato e diretto da Massimo Ghini e tratto dall’omonimo film cult di Dino Risi del 1959, ispiratosi a sua volta a un caso di uxoricidio di quegli anni. L’adattamento teatrale di Ennio Coltorti e Gianni Clementi aderisce pedissequamente alla sceneggiatura del capolavoro di Risi, rivelandosi un’operazione tutto sommato doppiamente coraggiosa. La pièce, infatti, non soltanto si cimenta con una pietra miliare della commedia all’italiana, ma l’accostamento a un classico del cinema nostrano viene presentato al pubblico come un esplicito tributo al film, senza la velleità del rifacimento, la scorciatoia della libera ispirazione o la dittatura dell’attualizzazione a tutti i costi. L’unica licenza rispetto alla pellicola è che l’azione viene spostata da Milano a Roma.

Ritroviamo così Alberto Nardi – l’industriale buono a nulla, vessato dai suoi creditori, e perennemente umiliato e sbeffeggiato dalla moglie Elvira – nel ruolo senza tempo dell’aspirante vedovo. Attorno a lui gravitano alcuni suoi stretti collaboratori e sodali di disavventure, oltre al marchese Stucchi, al commendator Lambertoni e alla giovane amante Gioia (interpretati da Giuseppe Gandini, Leonardo Ghini, Diego S. Misasi, Giulia Piermarini, Tony Rucco e Luca Scapparone).

Inevitabilmente, per chi conosce e ha amato l’indimenticabile film di Risi, alcune delle situazioni grottesche o delle battute più esilaranti potrebbero suonare piuttosto prevedibili. A oltrepassare, però, i limiti e il rischio calcolato della imitazione tout court è comunque la prova attoriale dei protagonisti e la loro sostanziale tenuta sul palco. Massimo Ghini, da attore consumato, pur ricordando l’istrionismo e la megalomania che Sordi conferisce al personaggio, finisce per dare un contegno più strettamente ‘teatrale’ al protagonista, che appare sulla scena forse molto più sfigato che inetto e cialtrone rispetto al Nardi del grande schermo.

Galatea Ranzi, invece, impersona Elvira Almiraghi quasi a immagine e somiglianza di Franca Valeri, perfetta nella parte della comprimaria dal carattere opposto a quello del marito fallito e inconcludente: una donna di successo, cinica e lungimirante negli affari, vagamente snob, a suo agio nella buona società. Che tuttavia sconta il peccato di aver sposato in gioventù un irredimibile “Cretinetti”.

Nonostante l’insistita alternanza di buio e luce per i cambi di scena rallenti a volte il ritmo narrativo, lo spettacolo, alla fine, restituisce fedelmente il profumo di un’epoca e fa in qualche modo i conti con la nostra. L’assetto scenico e i costumi evocano gli anni ’50 in cui la vicenda è ambientata, così come le citazioni musicali (da Clara Jaone a Buscaglione a Rabagliati, of course), con qualche soverchiante sottolineatura di cui in tutta franchezza non sentivamo il bisogno, come l’urlo di Tarzan alla fine di una scena o l’inflazionatissima Toccata e fuga in re minore di Bach per creare un facile effetto shock all’apparizione della “povera signora” rediviva.

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