Ieri il Tribunale si è pronunciato sull’operazione “Alcatraz”, che ha scoperchiato un sistema di corruzione all’interno del carcere “Pietro Cerulli” di Trapani. All’interno della casa circondariale di Trapani entrava di tutto, grazie a un sistema rodato in cui le regole del carcere erano state sostituite da accordi illeciti tra detenuti e personale corrotto: cellulari, droga, armi, profumi, sigarette. A finire in carcere con una pena di 4 anni di reclusione sono Giuseppe Felice Beninati, James Burgio, Gerlando Spampinato, Roberto Santoro e Giuseppe Maurizio Cirrone (assolto per un altro reato), mentre per Alessio Scirè, la condanna è di 2 anni e 6 mesi mentre è stato assolto “per non aver commesso il fatto” da un’altra imputazione. Assolti infine Natale Carbè, Salvatore Mannone, Pietro Mazzara e Valentina Messina. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Trapani e condotta dai carabinieri e dagli agenti del Nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria ha fatto emergere un sistema corrotto che portò all’arresto di 23 persone. Nel mirino dell’inchiesta finirono agenti della penitenziaria oggi in pensione: uno fu arrestato, un altro — ritenuto la mente dell’organizzazione — morì durante le indagini, mentre gli altri due finirono nel registro degli indagati. Tra i destinatari dei ‘doni’, un affiliato della camorra e un esponente della Sacra Corona Unita. Più di cinquanta i cellulari sequestrati. Come venivano introdotti? Con droni e palloni da calcio lanciati dall’esterno e in punti precisi.
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