Il libro dei rimpianti per la città di Marsala si arricchisce di un nuovo capitolo. Dal Festival Jazz alla Scuola di Teatro, passando per Vinoro o il Festival del Giornalismo d’Inchiesta, la storia della comunità lilibetana è un continuo susseguirsi di iniziative che partono con entusiasmo e vanno crescendo in termini di partecipazione e apprezzamento. A un certo punto, però, si decide di farne a meno, ritenendole – evidentemente – sacrificabili.
Lo scrivo subito per evitare fraintendimenti: non ci sarà mai un’amministrazione comunale che annuncerà la cancellazione di un evento di successo spiegando che non ci crede più, che vuole investire su altro o che non ci sono più le condizioni per organizzarlo. Non è necessario, basta molto meno. Solitamente ci si rifugia in questioni economiche o burocratiche per giustificare la necessità di un ridimensionamento, altre volte si ostenta disinteresse di fronte alle richieste di un confronto o si cerca di imporre all’organizzazione una direzione diversa, più vicina al tornaconto politico dell’amministrazione. Di fatto, si creano le condizioni per lasciare il cerino in mano agli organizzatori, spesso costretti a gettare la spugna.
Mentre Gibellina si appresta a celebrare la 44esima edizione delle Orestiadi, San Vito la 28esima del Cous Cous Fest e le rassegne di Segesta e Selinunte continuano a crescere con programmi degni dei migliori contesti culturali nazionali, le amministrazioni marsalesi continuano il loro sciagurato “gioco dell’oca” avviando iniziative che, a un certo punto, smettono di sostenere, dimenticando che istituzionalizzare un evento non significa soltanto tagliare il nastro inaugurale o rilasciare interviste compiaciute a favore di telecamera, ma creare le condizioni per renderlo di anno in anno più solido, coinvolgendo altri partner pubblici e privati.
L’esperienza ci dice che, dalle nostre parti, a volte basta la sostituzione di un assessore o di un collaboratore del sindaco per indebolire una manifestazione, perchè chi arriva dopo si accosta all’operato di chi c’era prima con superficialità, indolenza o persino fastidio. Ciò potrebbe essere giustificabile di fronte a un Festival fallimentare, che si dimostra incapace di suscitare l’interesse della comunità. Ma “Il Mare colore dei libri”, nelle sue quattro edizioni, ha avuto un indiscutibile successo di pubblico, richiamando amanti della lettura, operatori culturali, famiglie, studenti e creando occasioni di incontro e crescita culturale. Lo ha fatto con una formula popolare, capace di coniugare l’attenzione all’editoria indipendente e alle avanguardie, ma anche alle proposte del territorio. Sospenderlo non è un dispetto agli organizzatori o agli spettatori, ma un atto di disamore verso la città.
L’auspicio è che il 2026 possa segnare il ritorno di questo Festival a Marsala, magari con una formula ancora più ricca, capace di riprendersi (con gli interessi) lo spazio tolto quest’anno. A meno che la classe dirigente non intenda concentrarsi su un nuovo Festival, quello delle occasioni perdute, una specialità in cui – tristemente – Marsala sembra essersi ormai specializzata.