Il prof. Antonino Sammartano torna a raccontarci una vicenda storia accaduta anche a Marsala nel lontano XVIII secolo:
La pianta del tabacco fece la sua comparsa in Italia intorno alla seconda metà del sedicesimo secolo. I monaci, in generale, ebbero un ruolo fondamentale nello sviluppo della produzione e del consumo di questa nuova pianta. Fu proprio negli orti dei monasteri che iniziarono le prime coltivazioni a scopo sperimentale di tabacco, per la cura di varie patologie; ed è sempre ai monaci che si fa risalire l’usanza di fiutare la polvere di tabacco. Verso la fine del secolo iniziò a diffondersi l’uso della pipa e la consuetudine di fumare con essa le foglie trinciate della pianta. Tale uso si diffuse rapidamente in tutte le classi sociali.
Su questo prodotto, inevitabilmente si pose l’attenzione dei governanti, che intravidero la possibilità di cospicui guadagni per lo Stato, attraverso l’imposizione fiscale applicata col sistema della privativa. Nel 1637, in Sicilia, il tabacco fu sottoposto a una tassa sulla coltivazione, e nel 1647 fu introdotta un’apposita tassa sul consumo di tabacco.
In seguito all’introduzione della tassa sulla produzione e sul consumo del tabacco, in Sicilia si diffuse il contrabbando anche di questo prodotto. E Marsala non rimase immune da questo fenomeno. Esso veniva praticato da commercianti, che con piccole e medie imbarcazioni trafficavano con Malta, dove esportavano prodotti alimentari e importavano tessuti e prodotti di altro genere.
Secondo il Regio Secreto(ufficio fiscale che si occupava della riscossione delle imposte) di Marsala, Giovanni ( sappiamo solo il nome perché dal documento da me consultato il cognome risulta illeggibile ), alcuni di questi prodotti, compreso il tabacco, venivano acquistati dai monaci del Convento di Sant’Agostino, e in parte venivano “smerciati nelle campagne e Città convicini”.
Il mese di ottobre del 1690 il Regio Secreto, per porre fine al contrabbando, creò una ronda costituita da persone fidate con il compito di vigilare notte e giorno le zone dove si sospettava che si verificasse il contrabbando. Il 14 ottobre “alle due di notte circa ho ritrovato fuori le porte che un padre di detto Convento ( Sant’Agostino) con un bordonaro (salariato fisso di un’azienda agricola) nominato Antonino Gandolfo vitti vi traggittavano nella Città, e volendoli prendere stante le resistenze fatte da detto Padre il quale fece fuggire detto Bordonaro per far venire super loco il Priore di detto Convento”. Gli uomini della ronda erano riusciti a bloccare solo il cavallo del Bordonaro, mentre il Padre riusciva a fare fuggire il suo cavallo che era ben carico.
P. Benedetto Alagna, il priore del Convento aveva più volte tentato di corrompere il Secreto con somme di denaro “per non disturbare simili guadagni”, ma non aveva ottenuto nessun risultato.
Nonostante l’impegno delle autorità competenti, il contrabbando del tabacco nella Sicilia occidentale non si riusciva a sconfiggerlo. Infatti, nel giugno del 1724, il barone D. Riccardo Ricca, Amministratore Generale del Regio Appalto del tabacco, comunicava al Viceré “che nelle città di Mazara, Trapani, e soprattutto di Marsala, si commettevano continuamente contrabbandi di tabacco”. Nella stessa lettera il Barone Ricca informava che gli organizzatori del contrabbando, Mastro Michele Campione e Padron Vito Barraco, erano stati arrestati a Marsala e in quel momento si trovavano in carcere a Palermo.
Inoltre, il Barone Ricca informava il Viceré che aveva “destinato persona seria in dette Città per prendersi le dovute informazioni, castigarsi li delinquenti e restaurarsi il Regio Appalto” E aveva scelto come persona adatta a svolgere quell’incarico D. Andrea Montaperto, Sollecitator Fiscale del Regio Patrimonio.
Un’altra questione molto delicata, che il Barone affrontava nella lettera al Viceré, era quella del coinvolgimento degli ecclesiastici nel contrabbando di tabacco. Perché in quelle città per occultare le prove si usavano/servivano dei “sotterfugi del Foro ecclesiastico. Secondo il Montaperto, trattandosi di materia di contrabbandi, che danneggiavano la “Real Hazienda”, nessuno doveva godere di nessun Foro (Tribunale). E pertanto invitava il Viceré a ordinare ai Rev. Inquisitori a non difendere i suoi foristi in caso di coinvolgimento in episodi di contrabbando. (RSI PA vol. 172 ).
Recatosi a Marsala, nel 1723, D. Andrea Montaperto incontrò molte difficoltà ad acquisire le informazioni necessarie per fare arrestare i contrabbandieri che nella zona del trapanese agivano indisturbati. A ostacolare le indagini erano soprattutto molti esponenti del clero. Infatti, il caso dei frati del Convento di Sant’Agostino non era un caso isolato. A Mazara “Alberto Daidone, Pietro Vitabile ed altri loro compagni contrabbandisti si erano rifugiati in Chiesa, e non solo impedivano il corso della giustizia, ma minacciavano anche la vita del Delegato”(Montaperto). Al Delegato non rimaneva altro che suggerire al Viceré di intervenire presso il Vescovo di Mazara e invitarlo a fare arrestare tutti i contrabbandieri che si erano rifugiati in Chiesa. Il Montaperto era sicuro “che nel monastero di S. Michele della Città si trovava molta quantità di tabacco, e diverse altre robbe”. E pertanto, egli chiedeva di poter perquisire il monastero, anche accompagnato dal Vicario del Vescovo, perché solo così si poteva mettere al sicuro il tabacco e gli altri prodotti che i delinquenti nascondevano nel monastero e cautelare, nello stesso tempo, gli interessi del Regio Appalto. Ma nell’Archivio di Stato di Palermo non c’è nessuna notizia sulla effettuazione della perquisizione del monastero di S. Michele.
Combattere il contrabbando di tabacco a Marsala e nella Sicilia Occidentale era un’impresa veramente difficile. I motivi di queste difficoltà andavano ricercate nella protezione che i contrabbandieri ricevevano dai Capitani di Giustizia e da molti esponenti del clero.
Il 31 luglio del 1724 per la seconda volta il Montaperto scriveva al Viceré e metteva in risalto tutte le difficoltà che incontrava nel suo lavoro. Egli accusava il Capitano di Giustizia di Marsala il quale “non volse far catturare le persone da me designate”. Queste persone non solo passeggiavano indisturbate e armate per le strade di Marsala, ma avevano anche rapporti amichevoli con le guardie cittadine.
Un altro personaggio autorevole coinvolto, in quel periodo, nel contrabbando di tabacco era l’arciprete di Marsala D. Rocco Rubini, che, nonostante i suoi intrallazzi, aveva inviato al Viceré una lettera di protesta perché in piena notte il Montaperto aveva fatto perquisire la sua casa senza trovare nulla.
Ma le cose veramente non stavano in questi termini. Dopo alcuni giorni che il Montaperto era arrivato a Marsala (1723), “una sera verso hora una di notte fu da me Geraldo Paci, appaltante di Marsala esponendomi che voleva le mie persone(guardie) per prendere i contrabbandi di tabacchi, nella casa allora mi disse di D. Rocco Rubini, non potei negare di mandare le mie persone fra li quali vi era D. Vincenzo Bijone homo di tutto onore officiale Maggiore del Trib. Del Real Patrimonio”. Essi si recarono nella casa dell’Arciprete (che si trovava in contrada Birgi) assieme a un ecclesiastico rappresentante del Tribunale Ecclesiastico, e havendo battuto la porta facendoli intendere che mandava io col Braccio Ecclesiastico per fare certa doligenza ( forse Perquisizione) non fu possibile aprire la porta se non dopo una Hora, poi fece entrare solamente Baijone nella camera, ma non trovarono nulla”.
L’indomani il Montaperto venne a sapere che in quella casa erano nascosti dei contrabbandieri e che erano fuggiti da una porta secondaria prima che iniziasse la perquisizione. Secondo il Montaperto, l’Arciprete proteggeva due contrabbandieri, Michele e Francesco Carriglio, due abitanti dell’isola di Favignana, che usavano la casa di contrada Birgi come base del loro contrabbando. Queste informazioni e gli le aveva avute non solo da Geraldo Paci, ma ancha da altre persone e da alcuni ecclesiastici che si accusavano tra loro.
Sempre nel 1724, si verificava a Marsala un altro grave episodio legato al fenomeno del contrabbando. Guglielmo Evangelista ( una della guardie che aveva partecipato alla perquisizione nella casa dell’Arciprete di contrada Birgi), mentre si trovava in una strada del centro di Marsala, un certo Andrea Cicira gli sparò un colpo di pistola ferendolo leggermente, tanto che riuscì a reagire mettendolo in fuga.
L’Evangelista confessò più tardi che in mattinata aveva avuto un colloquio con l’Arciprete, nel corso del quale era stato minacciato da questi. L’ufficiale rispose che egli era un Ufficiale di comandamento e non si spaventava di nessuno. Erano passate circa tre ore da quell’incontro ed Evangelista subiva l’attentato.
A D. Andrea Montaperto non restava altro che sollecitare il Viceré a prendere i necessari provvedimenti contro l’Arciprete per aver fatto una rappresentazione falsa dei fatti e per evitare che lo stesso continuasse a dare riparo ai contrabbandieri.
L’attività di D. Andrea Montaperto nella Sicilia Occidentale si concluse con una sconfitta totale. Il problema del contrabbando del tabacco, infatti, rimava un problema da risolvere.
Nel febbraio del 1728, per risolvere questo problema, vi fu un ulteriore intervento delle Autorità Regie di Palermo e inviarono a Marsala un altro Commissario, il Governatore e Capitano d’Armi e Guerra D. Agostino Varano di Camerino. Il nuovo Commissario, giunto a Marsala, si mise subito a lavoro e chiese di ispezionare alcuni bastimenti che si trovavano nel porto delle nostra Città. Ma gli fu impedito dall’equipaggio delle navi. Ma il Commissario non si arrese e scrisse a D. Giuseppe Termine, Amministratore Generale del Regio Appalto, per invitarlo a prendere dei provvedimenti “per guardare detti bastimenti e proibire a cittadini e sudditi di questo Regno la compra di tabacchi”. Ma ancora una volta, l’Amministrazione Generale non si curò di dare gli ordini necessari per affrontare il problema del contrabbando, e i “religiosi in particolare, e altre persone di questo Paese, impunemente, in tempo di notte, si comprano quantità di tabacchi al bordo di detti bastimenti” (RSI PA vol. 1772)
Il problema del contrabbando del tabacco a Marsala emerse di nuovo agli onori della cronaca nel marzo del 1764, quando D. Cosimo Terranova, gabelliere dello smaltimento dei tabacchi di Marsala fu minacciato da molti marsalesi che vendevano illegalmente il tabacco e fu costretto ad abbandonare la Bottega e a rifugiarsi con tutta la famiglia a Palermo.
Tutti i funzionari delle Autorità Regie che venivano inviate a Marsala con il compito di combattere il contrabbando di tabacco dopo poco tempo dovevano ammettere con amarezza la loro sconfitta. Anche nel 1770, il Colonnello D. Luigi Spinosa, in una sua relazione inviata al Viceré, manifestava la convinzione che dietro l’operato dei delinquenti ci fosse la mano di alcuni personaggi di rilievo della città di Marsala. Ma nei confronti di essi non venne mai preso un provvedimento punitivo.
Il 2 marzo del 1784, il Viceportolano di Marsala, D. Bernardo D’Anna, in una lettera inviata al Marchese di S. Ippolito, faceva presente come il contrabbando rimaneva ancora un problema diffuso, soprattutto quello di molti prodotti alimentari come l’orzo, i legumi, il frumento, la pasta ed altre vettovaglie verso l’isola di Malta. E ciò dipendeva dal fatto che il litorale di Marsala rimaneva incustodito, per mancanza di guardiani.
Inoltre, per combattere tale fenomeno, il Viceportolano suggeriva alle Autorità Regie di ordinare al Mastro Notaro di Marsala di non rilasciare le patenti di navigazione alle barche che si recavano a Malta, se prima non venivano ispezionate dal Mastro Notaro e dal Viceportolano per verificare se avessero merce al di fuori di quelle per le quali avevano pagato i diritti di Dogana.