Mancano poco meno di 100 giorni all’appuntamento con le elezioni europee di giugno e i partiti appaiono sempre più in fibrillazione. Anche perchè la sensazione è che le partite in gioco, quantomeno in Italia, siano davvero tante. La Meloni considera questa tornata elettorale come un test sulla tenuta del suo governo, ma anche sui rapporti di forza all’interno della maggioranza. Tra le opposizioni, Azione e Italia Viva si sfidano in una sorta di derby del campo moderato, così come Pd e M5S sul fronte progressista, mentre l’Alleanza Verdi Sinistra sogna un exploit. Poco si parla, anche stavolta, della qualità della rappresentanza italiana all’Europarlamento.
Le cronache nostrane sono spesso ricche di dichiarazioni di fuoco contro le norme comunitarie approvate tra Strasburgo e Bruxelles, ritenute non rispettose delle produzioni d’eccellenza, tanto diffuse nel nostro Paese. Al contempo, però, per anni abbiamo pensato di mandare cantanti (Iva Zanicchi), attori (Enrico Montesano) e annunciatrici televisive (Barbara Matera) a tutelare gli interessi nazionali, mentre i tedeschi o i francesi inviavano i politici più competenti e preparati.
Sarebbe bello pensare che stavolta sarà diverso e che la compilazione delle liste sarà accompagnata da una riflessione su criteri realmente meritocratici che tengano conto dell’effettiva conoscenza delle istituzioni europee (e magari di qualche lingua diversa da quella nazionale), dei regolamenti e delle direttive comunitarie in materia di agricoltura e pesca, di una visione moderna sui diritti (umani e civili) o i cambiamenti climatici.
Sarebbe importante, poi, che nella stesura delle liste per il collegio Sicilia-Sardegna si tenesse conto delle personalità che più possono ritenersi idonee a rappresentare le istanze di territori che continuano ad essere inclusi tra le aree depresse del continente e che, fin qui, hanno sprecato (o male utilizzato) gran parte delle opportunità offerte dai fondi comunitari per l’incapacità della propria classe dirigente.
Il rischio è che lo stesso copione già visto con i fondi Fesr si riproponga con il Pnrr o con gli altri strumenti messi in campo dall’Unione per favorire la coesione territoriale, andando ad ingrossare ulteriormente quel lungo elenco di occasioni mancate che rappresentano il grande rimpianto di chi, ostinatamente, continua a credere nel riscatto di questa terra.