Qualche giorno fa, alla Scala, si è deciso di metter mano al libretto verdiano di Un ballo in maschera. Si è deciso di agire diffusamente sul testo, operando su spizzichi di versi qui e là; in alcuni casi si è riformulato, in altri si è sostituito arbitrariamente; in un caso in particolare – e qui sta il caso – si è dichiaratamente censurato. Pare su impulso del direttore d’orchestra Nicola Luisotti, sostituto di Chailly, che già a sua volta aveva operato in questo modo.
Atto primo. Scena quarta, del libretto di Antonio Somma, 1858. L’espressione di un Giudice, portatore di dispacci, sul recitativo arioso, spiattella «S’appella Urlica – dell’abbietto sangue de’ negri». Troppo stridore; per questo la frase è erasa e sostituita con verso decisamente neutrale e insulso.
Ora, imbastiamo un esperimento mentale. Mettiamoci nei panni non tanto del lettore – medio – di un libretto d’opera, ma in quelli di un qualsiasi lettore che si trovi, per volontà o avventura, a affrontare un testo che non venga dalla contemporaneità. Spesso si troverebbe, questo lettore, a agire per contestualizzazione: sospenderebbe, magari anche per pochi secondi, la lettura del suo libro per sintonizzare, che so, le scoperte meravigliose del Viaggio al centro della terra di Jules Verne con il gusto, la cultura e i saperi del 1864. Lo stesso farebbe toccato dagli scabrosi esperimenti sugli animali dell’Isola del Dottor Moreau, 1896. E magari potrebbe continuare anche riflettendo sul modo complesso con cui vengono elaborati i personaggi femminili nei poemi omerici.
La contestualizzazione, si badi, non ha nessuna vera capacità di interrompere o modificare un giudizio morale: violenza e prevaricazione ci schifano anche se sono sull’Aminta del Tasso. Il gesto psichico della storicizzazione di un testo serve innanzitutto a spiegare la natura sociale e culturale delle forme espressive. E ci permette di osservare tale testo come documento di una sensibilità, di un modo di pensare. Generalmente, tale processo viene considerato arricchente, tanto che sono ancora piuttosto diffuse quelle facoltà universitarie che si occupano della Storia, della Letteratura, della Filosofia, dei tempi passati (e dell’oggi). Sottolineo: un professore di Storia medievale non pensa, oggi, nel 2022, che le corvée possano essere una proposta economica al passo con i tempi.
Censurare a priori un testo come quello dell’opera di Giuseppe Verdi significa assumere, a priori, l’incapacità o l’inettitudine del pubblico nell’operare la contestualizzazione. Il che mi sembra un gesto di presunzione.
Perché a questo pubblico è stata sottratta la possibilità di incontrare qualcosa di altro/diverso e attraverso di esso guardare a sé, al proprio tempo? Perché si è supposto che non possa uscire dalla centripeta sfera di specchi che riflette infinitamente colui che si guarda?
Strana sorte hanno avuto queste opere, che hanno sempre avuto – e in Verdi questo è quanto mai vero – lo scopo di stimolare, scuotere, stizzire, produrre una risposta critica. Se il politically correct diviene “idio-compressione”, accecamento, chiusura, “paraocchismo”, è decisamente fuori strada.
Ne Il mondo dentro il Capitale, 2006, Peter Sloterdijk ha lucidissimamente individuato del Crystal Palace della Londra del 1831 la rappresentazione plastica di questo atteggiamento: “tutto il mondo in un palazzo”, perfettamente ammirabile e magnificabile, purché sia il nostro mondo e non quello degli altri.
Sebastiano Bertini
Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340