Sentenza D’Alì, parla Inguì: “Primo pensiero per Sodano. Tra mafia e politica intrecci indissolubili nel trapanese”

redazione

Sentenza D’Alì, parla Inguì: “Primo pensiero per Sodano. Tra mafia e politica intrecci indissolubili nel trapanese”

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venerdì 23 Luglio 2021 - 07:45

La condanna a 6 anni in Appello dell’ex senatore Antonio D’Alì ha prodotto, finora, più silenzi che reazioni. Al di là di qualche commento sui social, non si sono registrate note di solidarietà pubblica da parte di colleghi di partito o amministratori del territorio, ma nemmeno riflessioni di carattere critico. Tra i più lucidi osservatori del fenomeno mafioso nel trapanese, il coordinatore provinciale di Libera Salvatore Inguì ha invece dato immediata disponibilità alla nostra redazione per un’analisi della vicenda.

Cosa pensa della condanna del senatore Antonio D’Alì?

Il mio primo pensiero va a Fulvio Sodano, allo splendido prefetto e uomo che è stato. L’ho conosciuto a Trapani, quando era in carica e l’ho rivisto quando, dopo essere stato trasferito ad Agrigento in maniera scandalosa, è ritornato nella sua Palermo, però già gravemente malato. Ricordo che ogni volta che si riparlava della vicenda del suo trasferimento da Trapani, piangeva senza riuscire quasi più a parlare. Il pensiero va a lui, alle ingiustizie che ha dovuto subire questo servitore dello Stato. Uno Stato di cui alcuni suoi alti rappresentanti, in barba al giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, non sembra che abbiano lottato per la legalità, la giustizia e una svolta antimafiosa del territorio.

Si tratta di una sentenza che, seppur non definitiva, riporta in evidenza un problema storico e mai superato del nostro territorio: il rapporto tra mafia e politica. Cosa ci insegna questa vicenda?

Il nostro territorio si caratterizza per quest’intreccio indissolubile tra mafia, borghesia, imprenditoria e politica. Credo che in nessun luogo come in provincia di Trapani l’intreccio cancerogeno di queste entità sia così evidente. La provincia di Trapani non si caratterizza per le guerre sanguinolente di mafia. Ciò che caratterizza il sistema mafioso in provincia di Trapani è la perfetta sinergia tra politica, potere economico e mafia. Non c’è operazione di polizia riguardante la mafia che non abbia a che fare con soggetti che ricoprono un ruolo nell’amministrazione della cosa pubblica. Quel che desta maggiore preoccupazione è il modo con cui si riesca a mascherare di legalità l’illegale. E come una serie di agenzie, anche di informazione, al servizio apparentemente della collettività riescano a confondere il buono e il cattivo. Il vero problema è la difficoltà per un cittadino a districarsi e capire da quale parte stare, perché le parti non sono chiare. Un problema del connubio tra mafia, politica e poteri economici della provincia di Trapani sta nella confusione che porta a pensare che tutto è mafia. Ma dove tutto è mafia, niente è mafia. Così come pure è grave che, alla fine, si possa dire che la mafia non è una cosa così brutta da cui tenersi distanti. Come affermò un ministro (Pietro Lunardi, ndr), la mafia è un’entità che appartiene alla società e con cui dobbiamo imparare a convivere. Sembra che in provincia di Trapani questo motto non possa essere scalfito, come se fosse scolpito su una pietra.

La sentenza non è stata seguita da alcun commento da parte della politica locale. Come ve lo spiegate?

Tutto il processo è stato seguito distrattamente, salvo da alcuni soggetti. Nessuna reazione c’è stata, effettivamente, dal mondo politico e sociale, ma anche da una parte dell’informazione. Come se questa sentenza fosse dispiaciuta. Non dico che si debba provare piacere quando un uomo viene condannato, ma credo si debba provare piacere quando si riesce ad affermare la verità, che va raccontata. Se ciò sta avvenendo, vuol dire che si sta toccando un punto cruciale del sistema di potere. Un punto che coinvolge una buona fetta della società trapanese. Per cui la condanna è come se non riguardasse solo un singolo soggetto, ma un modo di fare politica e di non prendere le distanze dalla mafia.

Spesso in solitudine, il coordinamento provinciale di Libera ha spesso denunciato tante vicende che sono state citate all’interno del processo, dalla storia del prefetto Sodano a quella dell’ex capo della squadra mobile Linares, fino a quella della Calcestruzzi Ericina. Quanto è difficile, in questo territorio, andare in direzione ostinata e contraria rispetto a una narrazione che talvolta tende a liquidare con superficialità l’apporto del movimento antimafia?

Questo processo sembra raccontare pezzi diversi di un’unica storia. La storia di un territorio che ha avuto uomini acuti, intelligenti, di passione, che hanno combattuto strenuamente il malaffare e la malapianta. E di come un potere che avrebbe dovuto essere dalla parte di questi servitori dello Stato, si è posto di traverso, se non addirittura contro. Pertanto, il trasferimento del prefetto Sodano e i vari tentativi di trasferimento, poi riusciti, del capo della mobile Linares, e una serie di attacchi ad associazione e giornalisti impegnati sul fronte dell’antimafia, sembrano segnali volti a un tentativo di mantenere questo territorio in uno stato di non cambiamento. I poteri sono forti, perchè hanno strumenti di comunicazione efficaci e strumenti più subdoli, riconducibili alle chiacchiere da bar. La mafia in questo ha sempre avuto terreno fertile: riuscire a mescolare falso e vero, a mascariare, ad attaccare senza apparentemente esporsi, utilizzando spesso anche utili idioti. Sta di fatto che la nostra associazione e alcuni di noi, in questi anni, hanno dovuto subire ostracismi e giudizi pesanti immotivati e non corrispondenti a fatti reali. A quelle persone che si sono distinte per aver tentato di opporsi allo strapotere mafioso, alcuni poliziotti, alcuni magistrati, alcuni uomini dello Stato, sono stati veramente avversi. Una parentesi a parte voglio riservarla alla triste e scandalosa vicenda di Luigi Miserendino, un amministratore giudiziario senza alcuna ombra sulla sua attività e sulla sua capacità professionale, servitore dello Stato e della giustizia. Un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza di Palermo, a dir poco ridicola, un’operazione conclusasi con l’arresto di fronte a uno spiegamento mai visto di telecamere e fotografi. Tentava di spiegare l’onestà del suo operato. Luigi Miserendino, guarda caso, è tra quelli che avevano puntato il dito contro il senatore D’Alì. Ricordo gli articoli e gli strombazzamenti quando fu arrestato, mentre l’eco della notizia della sua assoluzione perchè i fatti contestati non sussistevano, è stato veramente blando. Luigi Miserendino è un esempio di persona corretta, alla stregua di Fulvio Sodano, con cui bene aveva collaborato negli anni precedenti. E’ la dimostrazione chiara ed evidente che chi tocca i fili si scotta e se non muore si brucia. Luigi Miserendino rappresenta un uomo che ha saputo riportare sul piano della legalità e della sostenibilità economica la Calcestruzzi Ericina, facendo della lotta alla mafia il suo stile di vita. Eppure Luigi Miserendino è stato bollato da un militare della Guardia di Finanza come simulacro di un’antimafia vuota e finta. Forse si dovrebbe aprire un’inchiesta anche su quella direzione. Ad ogni modo, questa vicenda ancora non è conclusa. Sicuramente continuerà il processo, altri soggetti sono stati segnalati alla Procura per le loro deposizioni, segno che questa storia porta con sé altre storie, altre coperture, altre nefandezze. Così come pure ci saranno strascichi e sottili vendette e forse si continuerà a tentare di delegittimare quei pezzi di una magistratura che a volte sembra stare sopita, ma che al suo interno mostra invece uomini coraggiosi, che non dormono e che non hanno paura di sfidare qualsiasi potere, nel nome della giustizia e della verità.

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