‘All in’, 4 indagati per associazione mafiosa. Sequestri anche a Favignana. VIDEO

redazione

‘All in’, 4 indagati per associazione mafiosa. Sequestri anche a Favignana. VIDEO

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venerdì 12 Marzo 2021 - 11:32

Maxi sequestro di beni per un valore di cinque milioni di euro da parte del gip del tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. I beni sono stati sequestrati a Francesco Paolo Maniscalco, di 58 anni, Salvatore Rubino, di 50, Vincenzo Fiore, di 43, e Christian Tortora, di 45.

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I quattro sono indagati a vario titolo per partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato dall’aver favorito cosa nostra palermitana. L’inchiesta, denominata ‘All In’, e’ coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e riguarda gli interessi della mafia nel settore del gioco e delle scommesse. Gli investigatori ritengono di avere scoperto “gravi elementi” a carico dei quattro che delineano “un’organizzazione criminale”: questa, negli anni, “grazie all’abilità imprenditoriale di alcuni indagati – sostengono le fiamme gialle – e ai benefici derivanti da accordi di reciproco vantaggio costituiti negli anni con i principali mandamenti mafiosi palermitani, aveva acquisito un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per la raccolta delle scommesse”.

Un’attività che avrebbe creato un vero e proprio “impero economico” costituito da imprese che, secondo i calcoli degli investigatori del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, gestiva volumi di gioco pari a circa cento milioni di euro. Le società erano intestate formalmente a dei prestanome ma, di fatto, sarebbero avrebbero fatto capo a Maniscalco e a Rubino, considerati “figure centrali” dell’organizzazione.

Il sequestro riguarda tre immobili, tra cui una villa di pregio sull’isola di Favignana, imprese e quote di capitale di dieci società con sedi nelle province di Roma, Salerno e Palermo. Sequestrati anche un noto ristorante del capoluogo siciliano, oltre che auto e moto. Beni che, secondo il Tribunale, sarebbero “frutto” delle attività illecite o “reimpiego” dei relativi proventi. Gli indagati e le rispettive famiglie, infatti, nell’ultimo decennio non avrebbero dichiarato redditi leciti o altre forme di finanziamento capaci di giustificare le spese sostenute nel tempo.

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