E’ stato pubblicato il primo romanzo e settimo libro di Benedetta Cosmi, “Orgoglio e Sentimento” (Armando editore). Benedetta Cosmi, romana ma vissuta a Marsala, è esponente di spicco della società civile milanese, giornalista economica, docente di Master ed autrice di reportage su scuola, donne e lavoro, ha diretto per 5 anni il Dipartimento Innovazione della Cisl di Milano, dove è vice direttore della testata sindacale; dirige anche la Collana editoriale Policy e la scuola di formazione “La Politica giusta”.
“Orgoglio e sentimento” sono le (tue) carte vincenti per cambiare un Paese. Si inizia con la storia di un giornalista e di tre amici. Perchè l’amicizia fa da collante al racconto?
Partiamo dall’incontro. Nel nostro Paese ci si basa sull’amicizia e sulla famiglia spesso in modo errato; al posto del merito conta chi hai amico, il potente di turno, il fatto di essere “figlio di”. Io parto dal presupposto: quali occasioni ci fanno diventare amici? La comunanza di valori, fare la propria parte nella società. Cos’è che ci impedisce di essere amico di qualcun altro? Ad esempio, frequentare dei luoghi in cui si incontrano diverse persone… può darsi che quello sia solo un incontro di passaggio, ma magari accade che la frequenza faccia accadere l’incontro. Poi ci sono dei luoghi in cui fare amicizia è più facile, la scuola, le università e i luoghi di lavoro; la didattica a distanza e lo smart working oggi allontana questa possibilità, che peraltro stava già accadendo prima con le aziende che risparmiavano e ripensavano modelli organizzativi diversi. Nel romanzo, il luogo è un treno; due sono amiche storiche, il terzo ragazzo è accomunato dalle prime due perché anche lui è rimasto bloccato a causa della tempesta Ciara che ha cancellato diversi voli; il giovane ha il cellulare scarico e chiede loro un caricabatterie. La quarta ragazza è seduta di fronte, non ha niente in comune con loro ma partecipa agli argomenti. Da lì nasce un’amicizia che finisce in una chat WhatsApp col nome “I disagiati” che definisce la loro generazione, i cui disagi sono una corsa ad ostacoli. Lì vicino c’è un giornalista in pensione che ascolta i loro discorsi e si sente coinvolto, non ha più la routine dell’andare al lavoro, del vedere i colleghi, per cui si sente come quella generazione. Di conseguenza è attratto dai 4 ragazzi e pensa: ma quanto ha sbagliato la mia generazione, quella che era al potere? Il giornalista non sa come approcciarsi ai ragazzi. Ecco che le amicizie, gli affetti, nascono già sbilanciati, come il potere. E si accorge che chi doveva cambiare la società la distruggeva con scelte politiche dissennate.
Di recente la scienziata marsalese Anna Grassellino è stata eletta donna dell’anno per La Repubblica. Nelle tue pagine leggo di barriere insormontabili che una donna subisce sul lavoro. E c’è la figura di una “Presidente della Repubblica donna”. Qual è lo spunto per superare certi retaggi?
Questo è un Paese che quando arriva a sdoganare qualche retaggio lo fa tutt’al più perché è di moda. Bisogna superare la simbologia. Riconducendomi ad Anna Grassellino, l’Italia sembra affascinata dai ricercatori all’estero. Invece quello che dobbiamo augurarci è che Marsala, il sud e il Paese possa accogliere un ricercatore italiano o straniero che venga qui per studiare. E questa figura si trova nel mio romanzo, quando parlo di un ricercatore calabrese all’estero che inventa un modo per inviare profumi, odori, tramite i mezzi tecnologici. Per fare ciò il nostro Paese deve darci le strutture, deve investire. Il Paese non è pronto perché ha paura dei giovani, delle donne, di innovare, in più non protegge quello che ha: conosce l’editoria e non la tutela, le grandi biblioteche e non è riuscita a creare centri per attirare studiosi da tutto il mondo, sta smantellando il nostro credo classico, la letteratura antica; in altri paesi invece credono in tutto ciò. Non sono pessimista, esserne consapevoli significa chiedere alla politica di cambiare. L’Italia è un Paese che dà solo bonus anziché creare economia, indotto. Qui c’è l’orgoglio alla povertà, “io ho preso il bonus, tu ce l’hai?”, “ah, io non ho preso il ristoro”. La Germania ad esempio, entra in lockdown per Natale, ma lo Stato 48 ore dopo la comunicazione ristora le attività che chiude, per cui non perdono chissà che. Da noi gli aiuti arrivano in ritardo, ma nel frattempo si accumulano tasse e cresce il debito pubblico.
Nel tuo romanzo c’è un continuo richiamo alla musica, alla letteratura. E’ necessaria una riforma del settore culturale?
Già nei miei primi libri teorizzavo che i siti culturali devono essere aperti h24. Si pensi alla mostra di Raffaello a Roma, inaugurata prima del lockdown e subito chiusa. Quando è stata riaperta prima dell’estate, la mostra è rimasta visitabile h 24 solo per gli ultimi 4 giorni rimanenti; le persone hanno riempito tutti i posti, sono andati anche ad orari improbabili, alle 3 di notte! L’arte e la movida non si sono mai incrociati e invece possono e devono convivere, l’arte non è Cenerentola che dopo mezzanotte deve essere a casa! Così si possono evitare le file; al di là dei contagi, con le file i visitatori si perdono altre bellezze, tutte quelle che abbiamo in Italia. I siti devono essere risorsa, non solo costo ma entrate.
Oltre all’orgoglio e al sentimento, c’è una visione politica, perchè la politica governa il nostro quotidiano. La politica ha fallito nel tutelare i beni fondamentali? Perchè hai scelto di scendere in campo?
Sì, c’è una visione politica, di città ideale. Aggiungo: il giornalista che si occupa di politica non deve guardare alla vita di un politico, ad esempio “Conte oggi chiamerà i capi partiti…”, la politica con la P maiuscola è porsi delle domande: “Come pensate di risolvere i problemi? Avete messo in campo le scelte migliori? Invece spesso è come se si parlasse di Fantacalcio, anziché di bel gioco, quello che ci ha insegnato Paolo Rossi. Il mio percorso è nato a Marsala, al Liceo Classico “Giovanni XXIII”, facevo parte della Consulta Provinciale degli Studenti. A me piacciono i temi e ho cercato di contribuire in tutti i ruoli che rivestivo, anche all’Università La Sapienza come rappresentante di Facoltà. Mi capitò di affrontare il problema degli orari di lavoro; sembrava che l’ostacolo maggiore fosse il sindacato. Quando sono entrata alla Cisl ho messo questo sul tavolo: volete diventare un Paese moderno? Siamo riusciti a farci sentire. Poi però mi sono accorta che per risolvere altri intoppi bisognava entrare in politica, passare dall’altra parte.
Il binomio Scuola-Lavoro, che conosci, può creare una rete di contatti con le imprese più fattiva, un pò come accade in altri paesi?
L’Italia dovrebbe prendere il meglio di ogni sistema scolastico estero; un istituto che sia uguale in tutta Europa, ciò faciliterebbe la mobilità. Ricordo che quando andavo al Liceo Classico, mancavano gli spazi e facevamo lezione nell’area della biblioteca. Spostandomi con la sedia, mi sono trovata davanti un libro, una copertina arancione, il mio primo amore: “Scuola sotto inchiesta” di Guido Calogero. Io avevo già quegli ideali, la scuola è dialogare, conoscere, uno studente deve poter scegliere le materie, nessuna materia è fondamentale, è tutto proporzionato nel percorso che si sceglie, così è meno frustrante per tutti, l’insegnante si trova davanti uno studente motivato e le aziende sceglieranno un profilo simile a quello di cui hanno bisogno.
Qual è il tuo modello di Italia del futuro?
La mia Italia del futuro ha un’idea di città aperta, vivace, con un taglio culturale che mantenga un profilo neoclassico, che lasci libere le passioni delle persone, che favorisca pubblico e privato, con meno burocrazia. Dobbiamo rischiare per un futuro migliore; è necessario avere un senso di comunità che si rinnova, la comunità è antidoto alla solitudine. Poi ci sono altresì dei progetti belli, in Sicilia Orientale c’è l’iniziativa “ambulanza letteraria” che porta libri in oltre 600 comuni al di sopra dei 10mila abitanti che non hanno librerie sul territorio.