Operazione antimafia Ermes 3: arrestati due fedelissimi di Messina Denaro. Ci sono anche 15 indagati

redazione

Operazione antimafia Ermes 3: arrestati due fedelissimi di Messina Denaro. Ci sono anche 15 indagati

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sabato 20 Giugno 2020 - 08:23

Aggiornamento ore 10.30: All’alba di oggi, la Polizia di Stato ha dato esecuzione alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal GIP di Palermo a carico di Giuseppe Calcagno, 46 anni, di Campobello di Mazara (TP), e Marco Manzo 55 anni, pregiudicato, di Campobello di Mazara, indagati per associazione di tipo mafioso ed estorsione.

L’operazione è stata condotta dagli uomini della Squadra Mobile di Trapani con l’ausilio degli uomini della Questura, dei Commissariati della provincia e dei Reparti Prevenzione Crimine della Sicilia e della Calabria, e l’impiego di unità cinofile e di elicottero del Reparto Volo di Palermo.

Sono stati impiegati 90 uomini della Polizia di Stato.

Su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo sono stati notificate informazioni di garanzia ed eseguite perquisizioni nei territori di Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano nei confronti di 15 indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi, favoreggiamento della latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, pure indagato nell’ambito del medesimo procedimento penale per tentata estorsione.

Anche l’abitazione di Castelvetrano, dove risulta la residenza anagrafica del latitante, è stata sottoposta a perquisizione.

L’indagine, denominata “Ermes Fase 3”, ha disvelato che i 15 indagati, membri o contigui dei mandamenti mafiosi di Mazara del vallo e di Castelvetrano, si sono adoperati per garantirne gli interessi economici, il controllo del territorio e delle attività produttive da parte dell’associazione e per aver favorito, in passato, la comunicazione riservata con il latitante Matteo Messina Denaro.

Le attività investigative hanno fatto luce sugli interessi economici e sui rapporti fra i sodali del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, retto da Vito Gondola, deceduto il 13 luglio del 2017, e sui rapporti che il predetto capo mafia mazarese intratteneva con altri appartenenti alla famiglia mafiosa di Marsala, di Campobello di Mazara e di Castelvetrano.

Nel corso di incontri riservati e attraverso lo scambio di “pizzini” si decideva il compimento di estorsioni nella compravendita di fondi agricoli e nell’esecuzione di lavori pubblici.

L’indagine ha dimostrato anche l’intestazione fittizia di beni riconducibili a mafiosi e l’intervento dell’organizzazione per risolvere partite di debito/credito fra soggetti vicini alle “famiglie”.

Le decisioni in merito ad alcune estorsioni venivano assunte su indicazione diretta del boss latitante.

Il ruolo svolto da Giuseppe Calcagno ha consentito al reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, Vito Gondola, l’esercizio delle sue funzioni apicali, eseguendone puntualmente gli ordini. Calcagno ha costituito un punto di riferimento nel segreto circuito di comunicazioni finalizzate alla veicolazione dei “pizzini” del latitante Matteo Messina Denaro. E’ intervenuto nella risoluzione dei conflitti interni alla consorteria mafiosa o comunque per essa rilevanti; ha partecipato ad incontri e riunioni riservate con altri membri dell’organizzazione mafiosa, anche finalizzati allo scambio di informazioni e ha mantenuto contatti con altri esponenti di vertice dell’associazione.

Anche la condotta criminale di Marco Manzo è stata finalizzata a favorire l’esercizio della posizione di comando da parte di Gondola; ha partecipato a riunioni e incontri con altri membri dell’organizzazione e ha favorito lo scambio di informazioni, anche operative, con membri e vertici delle famiglie mafiose della Provincia di Trapani e di altre province. Manzo è anche intervenuto nella risoluzione dei conflitti interni alla consorteria mafiosa e si è imposto nel territorio quale imprenditore del settore di carburanti in posizione dominante in forza dalla sua appartenenza a “cosa nostra”.

Marco Manzo è indagato, in concorso, anche per aver costretto, con l’intimidazione mafiosa, un dipendente di una società per la vendita di carburanti di Campobello di Mazara a rassegnare le proprie dimissioni, rinunciando al pagamento degli stipendi arretrati ed alle altre spettanze economiche derivanti dal suo rapporto di lavoro.

Manzo era stato condannato per aver favorito la latitanza del boss mafioso Vincenzo Sinacori e successivamente per danneggiamento aggravato ai danni dell’abitazione di un uomo politico di Castelvetrano.

La attività investigative hanno dimostrato che l’assoggettamento del territorio e il controllo delle attività economico-imprenditoriali passava attraverso minacce e azioni violente, per la realizzazione delle quali era fondamentale un costante scambio di informazioni fra i vertici delle varie famiglie della provincia.

Sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di costringerlo a cedere a un membro dell’associazione un appezzamento di terreno, che invece avrebbe voluto acquistare per sé.

Le indagini hanno fatto luce anche su i contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni imprenditori agricoli e allevatori e su gli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una soluzione.

L’intervento di “cosa nostra” era essenziale anche per risolvere dissidi per l’utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano.

Attraverso le attività tecniche di intercettazione è stato disvelato il tentativo di estorsione nei confronti degli eredi del defunto boss mafioso campobellese Alfonso Passanante, affinchè cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di terreno in contrada Zangara di Castelvetrano, appartenuto a Totò Riina. Le minacce dalla cosca mafiosa di Campobello, rappresentata dal boss mafioso Vincenzo La Cascia, furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013.

***

I pizzini di Matteo Messina Denaro arrivavano nelle campagne fra Mazara del Vallo e Salemi.

La squadra mobile di Trapani ha individuato un altro anello della catena di comunicazione del superlatitante che sembra essere diventato imprendibile dal giugno 1993. Questa notte, sono scattati due arresti. E sono state eseguite una quindicina di perquisizioni, la polizia ha passato al setaccio anche l’abitazione della famiglia Messina Denaro, nel centro di Castelvetrano, dove abita l’anziana madre del boss. Nel salotto, l’immagine del padrino stile Andy Warhol, con una corona in testa. Il padrino venerato, il padrino diventato un fantasma.

Nel corso del blitz della squadra mobile diretta da Fabrizio Mustaro è stato arrestato l’ennesimo “postino” dei pizzini.

E’ Giuseppe Calcagno, 46 anni, un fedelissimo dell’anziano capomafia di Mazara Vito Gondola, che era stato fermato cinque anni fa: proprio in quell’indagine erano emersi i nomi di Calcagno e di Marco Manzo, arrestato pure lui stanotte.

L’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido ha provato a svelare gli altri passaggi della catena di comunicazione del latitante, in un dialogo è emersa la traccia di un biglietto che sarebbe giunto da Messina Denaro.

“Ci vediamo alla mannara” diceva Vito Gongola, che è morto tre anni fa. “Ho una rinisca (una pecora, ndr ) buona — sussurrava un altro favoreggiatore al telefono — quando vossia finisce di mungere la scannamu”.

Sembrano usciti da un romanzo di Andrea Camilleri gli uomini che proteggevano la latitanza di Matteo Messina Denaro. Allevatori che parlavano in dialetto stretto al servizio del padrino che è diventato l’emblema della mafia 2.0. Un altro ancora chiedeva: “La ricotta è pronta?”. Era il segnale che i pizzini del latitante erano arrivati. ‘U zu Vito, il custode delle comunicazioni di Messina Denaro, nascondeva i messaggi sotto un masso, in campagna.

Adesso, l’ultima tranche dell’indagine, coordinata dai sostituti Gianluca De Leo e Giovanni Antoci, ricostruisce le mosse di Calcagno e Manzo: il primo si occupava della rete di comunicazione del latitante, il secondo dei collegamenti con gli altri mandamenti; Manzo è uno dei picciotti del clan che nel 2008 incendiò la casa al mare del consigliere comunale Pasquale Calamia. L’esponente del Pd si era permesso di chiedere a gran voce l’arresto di Messina Denaro.

L’indagine della polizia ha accertato che i pizzini arrivavano in alcune date ben precise. “Arrivano con la stessa carrozza”, dicevano i mafiosi. Ma non si è ancora scoperta con certezza quale fosse la “carrozza” che portava i pizzini, chissà da dove.

Di sicuro, Messina Denaro imponeva regole precise per i biglietti: vanno distrutti subito dopo la lettura, e le risposte devono essere recapitate entro 15 giorni. Ma del contenuto dei pizzini continuiamo a non sapere nulla. Gli inquirenti hanno il sospetto che quei biglietti possano essere andati in giro per l’Europa. Viaggiava molto un fedelissimo di Gondola, l’imprenditore Mimmo Scimonelli. Si divideva fra il Vinitaly, per presentare il suo consorzio di produttori, e la Svizzera, dove aveva aperto alcuni conti.

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