I contemporanei e la “Battaglia di Anghiari” – dal genio cinquecentenario di Leonardo Da Vinci

redazione

I contemporanei e la “Battaglia di Anghiari” – dal genio cinquecentenario di Leonardo Da Vinci

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martedì 28 Maggio 2019 - 12:35

Cinquecento anni di fascino. Cinque secoli di vita e di ri-facimenti creativi. È il fascino e la seduzione che la “Battaglia di Anghiari” di Leonardo Da Vinci non smette di sfidare artisti di tutte le epoche. L’opera, una pittura murale, in parte perduta, distrutta o conservata (non ci fermeremo su questo tipo di narrazione di sovrapposte memorie) è arrivata fino a noi, 2019. Databile al 1503, e già commissionata per il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, la “Battaglia di Anghiari” doveva rappresentare un epico scontro storico-politico tra l’esercito fiorentino e quello milanese del 29 giugno 1440 (16 x 8 metri sarebbe la dimensione della ricostruzione della composizione della Battaglia di Anghiari di Leonardo Da Vinci). Lo scontro si giocava sul piano di conflitto politico-antagonista: la libertas repubblicana contro nemici e tiranni che ne impedivano la realizzazione ad ogni costo. Un costo di mezzi, risorse e vite senza risparmi (il mito racconta anche che lo sguardo di Leonardo avrebbe incrociato vis à vis il collega e rivale Michelangelo; il Michelangelo che su una parete di fronte avrebbe lavorato a un affresco gemello, la Battaglia di Càscina). Per ragioni diverse nessuna delle due pitture murali venne portata a termine, né si sono conservati i cartoni originali, anche se ne restano alcuni studi autografi e copie antiche di altri autori.

I grandi, si sa, quando vanno via lasciano dietro di sé l’aura delle cose invisibili e indecidibili, mentre in avanti avanza una schiera di “imitatori” e/o sfidanti; le spirali e i vortici che hanno lasciato sospesi nell’atmosfera storica non smettono di coinvolgere – ieri come oggi – il mondo dei pittori creativi di tutto il mondo. Uno spettro reale più che un fantasma, la “Battaglia di Anghiari”, ieri ha visto (in frammento) la copia della mano di Rubens (1603), quella di Rucellai e del Commodi e la “Tavola Doria” attribuita a Il Poppi (per citare quelle più famose). Nel presente, in una sorta di citazionismo storico-creativo, la magia simulativo-pittorico-creativa che l’opera di Leonardo continua a sprigionare come un’onda radioattiva– ha contaminato anche due pittori siciliani: Giacomo Cuttone e Alfonso Leto.

Nulla da invidiare (a nessuno). Ognuno, per idea, tecnica, memoria semantica e inventiva ha una propria semiotica ed ri-esprime l’opera – la “Battaglia di Anghiari” – configurandone l’interpretazione diversamente. Non tutte le componenti del loro codice semiologico (geometrico e cromatico) suonano alla stessa maniera. Negli anni della loro formazione (gli anni Settanta del secolo scorso), peraltro, i due artisti (il primo del trapanese e il secondo dell’agrigentino) si sono incontrati e conosciuti. Le due singolarità artistiche e creative, sebbene lavorino sulla base dello stesso frammento ricreato da Rubens, propongono due diverse visioni delle virtualità che il frammento ha in essere. Ognuno dei due infatti rielabora il tema della battaglia sotto lo stimolo di un’idea diversa. Diversa è così (ora per linee, per colori, tonalità …) la riconfigurazione de la “Battaglia di Anghiari”. Le sue parti (cavalli, cavalieri, soldati, gruppi con bandiera, soldato con scudo morente …), e la modalità sintetica e pittorica con cui sono rese a nuova forma, non dicono la stessa cosa: quanto meno, oltre al rimpasto dei segni, dietro e in avanti hanno memoria e proiezioni non collimanti.

L’attualità di Leonardo, uomo e artista che coniugava sapere umanistico e scientifico che con la natura pulsava il tempo, i confini e i differenziali delle cose e degli enti –, è tale che il suo virtuale reale ha spinto i nostri due pittori a ri-territorializzazione l’opera di Leonardo. Una ri-territorializzazione artistica che avanza, è possibile ipotizzare, come una polimorfia nomade, in movimento. Un’interpretazione analitica e creativa al tempo stesso che l’opera di Leonardo, verosimilmente, offre ai due pittori siciliani. La ri-territorializzazione di Alfonso Leto – “La rovinosa fine della battaglia di Anghiari” –, creativamente, è giocata sul piano della citazione e della parodia. La ri-territorializzazione – “Il sorriso di Giáp 2” – di Giacomo Cuttone, creativamente, è giocata invece sul piano dello sconfinamento delle identità degli elementi. Il confine delle parti dell’opera, oggetto di rielaborazione, non essendo nettamente delimitato e separato, facendo scivolare i limiti delle figure come in un passaggio continuo, permette infatti al Cuttone di costruire un’identità ibrida unica e nuova, lì dove la rivisitazione di Leto, pur de-formando il dato, ne lascia riconoscibili le parti componenti; allo scopo, rimandano alla nota a piè di pagina la paternità autoriale dell’opera centrale e delle due – sn e ds –, mostriamo in un unico1 formato (i pregi del digitale) le tre opere:

Giacomo Cuttone realizza “Il sorriso di Giáp 2” (acrilico una tela, 40×40) nel 2016, e il titolo stesso dell’opera ne annuncia un’assoluta ri-configurazione. Seguono forma e sfondi, colori, gradi e sfumature e grani cromatici. La “Battaglia di Anghiari” di Leonardo diventa il divenire-animale- guerriero-simboli e reciproca mutazione. Una simbiosi di elementi che non hanno identità se non nel misto mescolamento delle linee, delle luci e delle luminosità differenziate gradualmente; un incorporarsi ed esteriorizzarsi che, dissolvendo e ricondensando unitariamente le forze vitali e simboliche in campo e in conflitto, dà vita a una immagine sola e unica iconizzazione.

L’opera (per inciso) diventa prima l’immagine di copertina del testo poetico collettivo-sine-nomine e sua interazione multimediale plurale “Er Giap”, Noi Rebeldía 2016 (il testo poetico Er Giap – recitato – è in rete sulla rivista MALACODA2. Successivamente diventa, anche, l’immagine di copertina della silloge poetica di Antonino Contiliano “Futuro eretico” (Fermenti edizione, Roma, 2016). Nel 2018 viene pubblicato sul n. 247 della Rivista romana “Fermenti”.

A questo punto, allora, ancora alcune cose.

Cosa indica l’iconizzazione di quelle “forze” simboliche eterogene che, strutturate e “meticciate” come un complessa identità polimorfa, informano di sé la figura pittorica del comandante Giap? Il movimento che la modella con precisi intrecci di varia natura rende visibile un’identità che dà scacco a qualsiasi vecchia convinzione che sfrutta il concetto di una forma compatta e sostanziale (uniformità) per il riconoscimento delle identità dei soggetti. Qui vive invece una com-posizione di proprietà (qualità) che non ha pari; e qui è anche, forse, la ragione del suo titolo “Il sorriso di Giap”? Il sorriso di Giap mette in immagine l’immagine del “blocco” delle forze eterogenee che miscelano l’identità umana, e lo fa fino al punto in cui la simbiosi dell’inumano (l’animalità e l’ideologico con i segni del tempo storico che hanno caratterizzato la lotta del comandante vietnamita) con l’umano (un rimando e una rivisitazione in proprio degli studi della “Battaglia di Anghiari” di Leonardo da Vinci e, insieme, un rovescio della de-figurazione artistica praticata da Bacon) è il perfetto dell’aistheton (il sentito) del pittore. Il senso de Il sorriso di Giap – l’opera che dà forma al groviglio delle “forze” eterogenee – e lì dove iconizza l’invisibile dando immagine al sotterraneo – mai trasparente immediatamente – o all’intreccio delle forme che lo figurano mentre dinamizzano la superficie della tela che li e-sistenzia. Qui è il taglio cromatico delle luci e delle ombre, quello che dà rilievo e spessore all’incrocio e all’intreccio delle “forze” umane e non umane. La scelta pittorica di linee classiche che incorporano il vitale-storico ed eterogeno; quelle che lo distendono in maniera tale da non far dimenticare mai però che comunque è il pensiero sinestetico dell’arte che ci si para di fronte, che vuole essere preso in considerazione e che, per di più, non smette di pungere perché è con lui che bisogna – ricorda – fare i conti che non tornano. Qui anche l’indice e la possibilità, secondo noi, ancora del sogno. La voce che segna il “co-e-sistere” politico conflittuale dello stesso eterogeneo virtuale, la bollizione implicata nel nostro stesso divenire-esser-ci, mentre presta il pensiero del desiderio all’attualizzazione artistica e la mostra non solo come esemplarità tecnico-allegorica astratta di una individualità appartata3.

La rovinosa fine della battaglia di Anghiari” di Alfonso Leto appare invece nel 2018. L’artista Leto realizza l’opera ad olio su carta e cartongesso (65×86), e, oggi, esposta ad Agrigento. La mostra di Agrigento, che s’intitola “Boudoir” 4, oltre a celebrare il secolo (XVIII) delle rivoluzioni e dei profumieri, vuole essere un tributo al “Leonardo” perduto nel V centenario della morte del genio leo-nardesco.

L’opera, realizzata come parodia postmoderna, è una sorta di “rilettura psichedelica” del dipinto leonardesco, ovvero una scena e una sceneggiatura che, non prevista allorquando l’opera è apparsa (è verosimile pensarlo!) agli occhi di Leonardo quando il forte calore sciolse il dipinto, appare ora come una virtualità attualizzata?

Secondo il nostro parere tutte e due cose insieme; e, inserendo l’opera nel suo “Boudoir”, lo fa con l’“approccio immoralista” della lucida ironia; quasi una gioiosa beffa! In tal senso, il divertimento traspare lì dove la perfezione dell’ornato di Leonardo/Rubens si ritrova sfilacciata nel percorso delle linee ricciolate e zigrinate, come se linee e colori si sovrapponessero quali curve cromo-sonore in funzione comica: il bello che si trasforma in comico kitsch. L’artista, in fondo – che in passato ha assunto e rielaborato lo spirito della Trans-avanguardia per approdare poi a forme nuove, che privilegiano la pittura nell’equilibrio continuo tra concetto e stile –, ha sempre mostrato anarchicamente una certa “stravaganza” eclettica quanto stilistica. Una certa deformazione che, attento all’insieme e al dettaglio, cura però con naturalezza e duttile visione.

Le sue incursioni nel passato raccontano il piglio culturale, la lucidità artistica e la coerenza linguistico-semiologica che l’artista, processualmente, ha maturato e portato avanti con energia e decisione critica. Memoria del passato e senso del futuro, in Alfonso Leto, tessono così la trama di un continuum sempre vivificato e in tensione; un procedere temporalizzato cioè che si rivela come un presente ancora gravido di originalità e tensione creativa.

Per il Nostro, fra i mezzi espressivi, la pittura è quello d’elezione; e anche se il suo alfabeto, ricco e variegato, combina e ricombina con altre tecniche e mezzi espressivi (disegni, pitture, combine-painting, mezzi extra-artistici, oggettuali e d’uso concettuale), non mai povero di effetti estetici stranianti.

Di lui, nel catalogo della mostra del 2018 a Palazzo Sant’Elia di Palermo, Marco Meneguzzo scrive: “Alfonso Leto è uno scanner vivente. Un analista del reale, di tutto ciò che capita entro il suo raggio d’interesse (si badi, non nel suo raggio d’azione, e neppure nel suo raggio visivo), e che viene elaborato secondo codici autogeneranti e autogeneratisi. I codici, ancor più dei linguaggi, cambiano abbastanza rapidamente nel corso degli anni, ma lo scopo è sempre lo stesso: la codifica del reale secondo parametri intellegibili. Di fatto, questo è il compito dell’intellettuale, e difatti Leto è prima di tutto un intellettuale, poi un artista, perché dall’arte ha mutuato i suoi codici di riferimento e comunicativi” 5.

In sintesi, e per concludere, non è fuori luogo sottolineare che i due artisti siciliani, nel tempo, sanno dire che il comunicare ARTISTICO, e creativo-produttivo (oltre che analitico), è pregnante proprietà autonoma degli stessi ‘segni’ non verbali: l’invenzione combinatoria e ricombinante ha altri codici per significare il mondo proprio e contestuale.

Antonino Contiliano

Marsala, 24maggio 2019

1Nota. Al centro, Paul Rubens, La battaglia di Anghiari (la parte centrale della battaglia); a sn, Giacomo Cuttone, Il sorriso di Giáp 2 (acrilico su tela 40×40, 2016); a ds, Alfonso Leto, La rovinosa fine della battaglia di Anghiari (olio su carta e cartongesso 65×86, 2018).

2 (a cura di Antonino Contiliano), Cfr. http://www.malacoda.eu/2016/02/26/noi-rebeldia-er-giap/

3 Antonino Contiliano, Uno sguardo per uscire dalla notte pittorica: I recenti lavori dell’artista G. Cuttone, in “La macchina sognante Contenitore di scritture dal mondo”, numero 3, 1 luglio 2016 (http://www.lamacchinasognante.com/uno-sguardo-per-uscire-dalla-notte-pittorica-i-recenti-lavori-dellartista-g-cuttone-antonino-contiliano/).

4Alfonso Leto, La rovinosa fine della battaglia di Anghiari”, in “Boudoir”. “Boudoir e il nome della mostra, curata da Giuseppe Frazzetto. Ideatore e produttore della mostra è Paolo Minacori, FAM Gallery di Agrigento (dall’11 maggio al 29 giugno 2019).

5Marco Meneguzzo, Alfonso Leto, Opere scelte 1977-2018, Palazzo Sant’Elia – Palermo, catalogo edito da Fondazione Orestiadi.

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