Via D’Amelio, da Marsala l’impegno dei vertici della magistratura: “Si faccia luce su tutto”

redazione

Via D’Amelio, da Marsala l’impegno dei vertici della magistratura: “Si faccia luce su tutto”

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venerdì 20 Luglio 2018 - 14:08

Si respirava un’aria diversa, quest’anno, alla commemorazione della Strage di via D’Amelio che si è tenuta a Marsala. La città in cui Paolo Borsellino fu per sei anni procuratore capo, dal 1986 al 1992, ha spesso ospitato autorevoli relatori che hanno rinnovato il ricordo di quel drammatico 19 luglio e il valore dell’impegno nella lotta alla mafia. Ma non era ancora arrivata la sentenza del processo quater di Caltanissetta, che porta con sé, tra le motivazioni, una frase che suona come un beffardo epitaffio, definendo la Strage di via D’Amelio “il più grande depistaggio nella storia repubblicana”. Inevitabile, dunque, che i rappresentanti del mondo della magistratura che hanno partecipato al dibattito tenutosi al Convento del Carmine, si soffermassero a più riprese su tale definizione, che richiama alle proprie responsabilità tutti quei pezzi delle istituzioni democratiche che, a vario titolo, hanno contribuito al depistaggio in questione.

Dopo il saluto istituzionale del sindaco Alberto Di Girolamo, a prendere la parola è stato Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e dal 2014 consigliere togato del Csm ha voluto ricordare come l’organo di autogoverno della magistratura abbia iniziato già lo scorso anno a dare segnali importanti a riguardo, pubblicando dopo 25 anni atti fino a quel momento secretati. “Non deve esserci nulla di oscuro in questa vicenda. Le istituzioni devono capire cosa è accaduto in quei momenti e cosa è accaduto dopo”, ha affermato Palamara, sottolineando che il grido di dolore lanciato nei giorni scorsi da Fiammetta Borsellino merita l’attenzione dello Stato.

Parla di “ferite non rimarginate” Angelo Piraino, nipote di Paolo Borsellino e consigliere della Corte d’Appello di Palermo, evidenziando al contempo come la morte dello zio abbia portato nel tempo diversi semi, uno dei quali – quest’anno – ha generato l’ultimo ramoscello, “quello della riflessione critica da parte delle istituzioni”.

Inevitabile, com’era giusto che fosse, anche il ricordo di Paolo Borsellino e di quella tragica giornata da parte di chi era stato a stretto contatto con lui. Come Gioacchino Natoli (ex presidente del Tribunale di Marsala e della Corte d’Appello di Palermo), che – sollecitato dalla giornalista Serena Bortone (moderatrice del dibattito) – ne ha ricordato il carisma: “era qualcosa di ineffabile, Paolo amava la vita, i suoi amici e si compiaceva delle sue battute fulminanti”. “Era rimasto – ha aggiunto Natoli riferendosi ancora a Borsellino – con l’ingenuità del bambino, capace di dire verità grandissime in maniera semplice e diretta”.

L’attuale presidente del Tribunale lilybetano Alessandra Camassa, ha ricordato gli anni trascorsi insieme a Marsala, la delicatezza con cui fu gestita la collaborazione con la giustizia di Rita Atria e Piera Aiello e lo stato d’animo con cui fu accolta la notizia della strage: “Ci riunimmo improvvisamente in Tribunale. Inizialmente ci fu un momento di sbandamento, la sensazione di uno Stato senza guida, come a governare fosse una forza terza. Dopo l’iniziale scoramento, la forza di andare avanti si è decuplicata, anche se le perplessità sono rimaste”.

Un pensiero è stato riservato anche agli agenti della scorta, attraverso le parole di Luana D’Amato, chiamata ad effettuare questo delicato servizio subito dopo le stragi del ’92, accompagnata dal ricordo del coraggio di Emanuela Loi.

Ma c’è anche chi, pur non avendo conosciuto direttamente Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, proprio in quelle drammatiche giornate cominciò a maturare scelte di vita professionale che andavano nella stessa direzione dei due giudici uccisi dalla mafia. “Il loro esempio – ha riconosciuto il presidente dell’Anm Francesco Minisci – ha dato un grande impulso a un’intera generazione di magistrati”.  Nonostante il loro impegno, le inchieste e gli arresti, la criminalità organizzata è ancora presente e si dimostra capace di insinuarsi subdolamente nel tessuto economico italiano. “Oggi – ha aggiunto Minisci – le mafie sono meno visibili e violente, ma più pervasive. Sono holding che si servono di strutture raffinate e consulenti specializzati. Proprio per questo le contromisure dello Stato devono essere diverse rispetto a quelle del passato”. A riguardo, il presidente dell’Anm è tornato a indicare la necessità di colpire i patrimoni criminali con strumenti ancora più efficaci di quelli utilizzati finora e di “spezzare il patto illecito tra mafie e settori della pubblica amministrazione”.

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