L’incontro con un’opera teatrale – al “Baluardo Velasco”
Nella camera bianca – solo, tra due presenze metafisiche, incalzato da una voce fuori campo che provoca e interroga – l’essere umano accusa il vuoto di questo bianco di svuotargli l’orizzonte; la voce, autorevole e sollecita, gli ricorda che il bianco non è il vuoto ma il pieno, non è il nulla ma il tutto…il pittore, quando con la sua mano traccia colori, non aggiunge ma toglie. L’opera d’arte nasce dalle sottrazioni. Mi ri-e-ri-torna questa poetica delle sottrazioni mentre mi allontano dal “Baluardo Velasco”, dopo essere stato immerso, per un’ora, come un pesce nell’acquario, in Luigi Tenco e la sua musica. Come hanno fatto, mi chiedo, questo autore e il regista e tutte le altre e gli altri a mettere in scena Tenco senza Tenco, la sua morte senza la morte, il colpo alla tempia senza mai nominarlo, a non richiamare alcun briciolo di cronaca nera (né rosa…), a ridurre al silenzio il fragore della sua uscita di scena sulla marea della canzoni sanremesi ( tra cui la sue)? Come hanno fatto a farci ascoltare alcune canzoni di Tenco facendocele vivere come frammenti di una vita più che come canzoni?
Sottrazione, sottrazione, sottrazione: via tutta la cronaca – la pettegola la nera l’investigativa -; via le ricostruzioni storiche; via ogni agiografia ( non è un santino della musica…”popolare”, dice lo stesso Tenco dal centro della camera bianca), via anche la sua voce ( le canzoni arrivano da lì, fuori campo, dal vivo, danzanti fra le corde del contrabbasso), via la biografia, salvo gli accenni all’amore “duro” e allo sguardo (angosciato? triste? non si sa) della madre. Cos’è rimasto? Siamo sulla soglia fra la vita e la morte, né di qua né di là. La scena è uno spazio metafisico, bianco, ove una parete di quadri esprime lo slontanamento delle forme della realtà…Eccolo lì, solo fra le due voci soffici e taglienti, quelle due presenze che lo incalzano come muse inquietanti di De Chirico, in biancoenero, morto e non morto; nel mondo ancora e già fuori dal mondo; in questa stanza bianca in cui il tutto viene e si esaurisce, mentre angosce e speranze arrivano dalle canzoni. Sol chi non lascia eredità d’affetti / poca gioia ha dell’urna…sussurrava più di duecento anni fa un altro giovane ventinovenne innamorato della morte come della vita, perché gli affetti che hai suscitato ti fanno vedere più in là, oltre la tomba.
E senza mai citare Ugo Foscolo, l’autore di questa serata speciale, Claudio Forti, èvoca l’immortalità dell’artista, che non può rimanere nella camera bianca, anche se oltre la camera tutto è nero, poiché qualunque camera bianca è insopportabile per l’artista, il quale decide di uscire, andrà nel nero, in questo mondo duro e stupido, e rifioriranno colori. E Tenco esce dal retro. E tutto svanisce. Lo spettacolo è terminato. Ed eccoli lì, tutti assieme, l’autore, il regista, gli attori, i musicisti e tutti gli altri, sulla scena a cantare “ ciao Amore, ciao Amore, ciao” assieme al pubblico.
Giovanni Lombardo