Ho letto tanti commenti e tante opinioni in questi giorni, a proposito delle vicende trapanesi. Sembrava che ognuno non vedesse l’ora di dire la sua e, in qualche modo, di mostrare il proprio posizionamento. A volte i commentatori sono apparsi coerenti con la loro storia, altre volte certi equilibrismi sono sembrati un po’ sospetti. Nessuna meraviglia: è capitato spesso anche a me di gettarmi lancia in resta nella mischia e di argomentare un parere “di pancia” sul fatto di cronaca del giorno, scrivendo cose che magari in un momento diverso avrei argomentato diversamente. Stavolta, però, ho sentito la necessità di prendermi un po’ di tempo in più. Perchè le vicende che hanno coinvolto la città di Trapani sono talmente anomale da meritare una riflessione più meditata.
Lo dico senza esitazioni: detesto quando si manifestano sospette coincidenze temporali tra le competizioni elettorali e le inchieste giudiziarie. Comunque andrà a finire, resterà sempre la sensazione che in un senso o nell’altro tali coincidenze avranno influito sull’orientamento degli elettori, drogando – almeno parzialmente – il risultato delle urne. Una sensazione che in uno Stato di diritto non si dovrebbe mai provare, perchè la selezione della classe dirigente da parte dei cittadini è un momento per certi versi sacrale, che non dovrebbe essere oggetto di azioni di disturbo. E questo vale sempre, anche laddove le situazioni sopra descritte coinvolgano esponenti politici da cui, per ragioni diverse, posso sentirmi molto distante.
Due anni fa, ad esempio, il giorno dopo la presentazione delle liste per le amministrative marsalesi, arrivò improvvisamente una sentenza della Cassazione che annullò la condanna per concussione emessa in appello nei confronti dell’ex sindaco di Marsala Giulia Adamo. La sentenza, per intenderci, che un anno prima aveva fatto scattare, per effetto della legge Severino, la sospensione dal suo incarico di sindaco per Giulia Adamo, convincendola poi a dimettersi e a lasciar spazio alla nomina di un commissario straordinario che avrebbe traghettato la città fino alle elezioni della primavera 2015. Fosse arrivata qualche giorno prima, quella sentenza della Cassazione, probabilmente non sarebbe cambiato nulla. O forse sì, come sostengono gli amici della Adamo. Fatto sta che quell’episodio lasciò una scia di dubbi e perplessità sulla vicenda, che a distanza di due anni restano intatti.
Allo stesso modo, nonostante le affermazioni del procuratore Lo Voi, secondo cui sarebbe offensivo parlare di “giustizia a orologeria”, ho provato non poche perplessità di fronte alla tempistica con cui è arrivata giovedì la notizia della richiesta di obbligo di dimora nei confronti del senatore D’Alì, ritenuto improvvisamente “socialmente pericoloso” dalla Dda di Palermo. Ma mentre ero impegnato a farmi un’idea sulla vicenda, venerdì è scattata l’operazione “Mare Monstrum”, in cui risultano coinvolti, con responsabilità diverse, l’armatore Ettore Morace e il deputato regionale Mimmo Fazio. Una vicenda che ha ulteriormente confuso un quadro che già il giorno prima appariva piuttosto offuscato.
Se fossimo in Norvegia o in Danimarca, probabilmente mi iscriverei nel club degli indignati e urlerei contro la manomissione delle regole democratiche. Quello che a tanti sfugge, però, è che non siamo in una democrazia scandinava. Siamo in Sicilia, terra di mafia. E parliamo di una provincia e di una città in cui la normalità è stata spesso una chimera. Provate a chiedere ai trapanesi che non hanno mai avuto “santi in paradiso” quante difficoltà hanno avuto nella loro vita quotidiana, anche per ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Provate a chiedere ai trapanesi quant’è radicato il rapporto tra i vari pezzi che hanno costituito il potere in città in questi anni. Chi fa questo lavoro, sa bene che l’affresco disegnato nella vituperata serie tv del commissario Maltese è assolutamente verosimile. Aggiungo, piuttosto, che risultava mancante di qualche altro pezzo. Perchè quel filo apparentemente invisibile che nella fiction lega la mafia a pezzi vari del mondo della politica, del settore bancario, dell’imprenditoria, delle istituzioni, della magistratura, del giornalismo, in realtà è molto più visibile di quanto si creda. E’ un filo che porta alle segrete stanza delle logge massoniche, che a Trapani (così come a Castelvetrano e in altre zone della Sicilia) costituiscono una realtà molto influente. Alcune parlano di storia risorgimentale e filosofia teoretica, altre di argomenti ben più concreti. Ed è nelle loro riunioni che si decidono le sorti della città: torte da spartire, incarichi da distribuire, assunzioni da assicurare.
E’ in questo contesto, che di democratico ha ben poco, che si sono create le condizioni per molti degli accadimenti che si sono verificati negli ultimi anni e che hanno coinvolto, in misura diversa, alcuni tra i protagonisti delle cronache di questi giorni.
Personalmente, più che sventolare certezze, in questo momento mi ritrovo a farmi ancora tante domande.
E’ normale che il senatore D’Alì si sia candidato a sindaco della città nonostante la sua assoluzione dall’accusa di concorso esterno per associazione mafiosa sia stata accompagnata dalla prescrizione per i fatti precedenti al 1994, che risultano comunque provati? E’ normale che nonostante una zavorra morale di questo genere non abbia sentito il dovere di fare un passo indietro e di lasciare spazio ad altri dopo aver coperto ruoli istituzionali di altissimo rilievo per 23 anni?
E’ normale che per convincere la famiglia Morace ad investire sul Trapani calcio le sia stato consentito di assumere una posizione quasi monopolistica nel settore dei trasporti marittimi e in particolare nei collegamenti con le isole minori? E’ una prassi che non inorridisce i puristi del libero mercato? E’ normale che adesso che il vaso di Pandora è stato aperto, si temano ripercussioni sui dipendenti della società di trasporto e sulla squadra del Trapani?
E’ normale che l’ex sindaco Fazio abbia legato in maniera così stretta le sue sorti politiche con le fortune della famiglia Morace?
E potremmo continuare a lungo, citando i lavori per la Louis Vuitton Cup (primo evento sportivo in Italia in cui furono seguite le procedure speciali di Protezione Civile), la rimozione del prefetto Fulvio Sodano, l’ostracismo verso la Calcestruzzi Ericina, le inquietanti (e mai chiarite) irruzioni di ignoti negli uffici della Procura negli anni di permanenza di Marcello Viola. E, ancora, le vicende dell’ex direttore della Caritas diocesana don Sergio Librizzi, di don Ninni Treppiedi e del Vescovo Francesco Miccichè, negli anni in cui la Chiesa trovava spazio a pieno titolo nella mappa del potere trapanese…
No, non me la sento davvero di far finta che tutto ciò non sia successo e di applicare alle vicende di questi giorni i criteri che avrei utilizzato se ci fossimo trovi in situazioni analoghe in Norvegia e Danimarca.
I misteri e le anomalie non cominciano oggi e una ricostruzione onesta non può non tenerne conto. Per cui: sì, è importantissimo che i trapanesi possano votare nel rispetto di condizioni di piena agibilità politica e democratica. Ma in uno scenario come quello sopra descritto, viene da chiedersi quante volte lo abbiano davvero fatto.