La chiamano legittima difesa

Vincenzo Figlioli

Marsala

La chiamano legittima difesa

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sabato 13 Maggio 2017 - 07:32

A me, l’idea che ognuno debba andare in armeria a comprare una pistola da tenere sotto il cuscino nel caso di visite notturne a sorpresa, preoccupa non poco. Provo a immaginare me stesso in una situazione del genere e credo che avrei seri problemi a mantenere i nervi saldi. Pur avendo visto tanti film d’azione in questi anni, non credo che riuscirei a emulare Liam Neeson o Nicolas Cage. Non ne avrei la prontezza. E poi quelli sono film, la vita reale è ben altra cosa.

Sarò un inguaribile nostalgico del passato, ma a me questa storia che lo Stato tenda a delegare ai cittadini la propria autodifesa puzza molto. Chiarisco subito: non è la legge in discussione in Parlamento che mi preoccupa, ma il messaggio che manda. E’ come se le istituzioni ci dicessero: “Noi non siamo in grado di proteggervi, se ci riuscite fate voi”. Così, quella che a molti sembra una conquista, un diritto in più, a me pare un segnale inquietante. Sul fronte della sicurezza pubblica, infatti, non abbiamo bisogno di uno Stato che sceglie la strada del disimpegno o che scarichi le proprie responsabilità ai privati. Non mi piace un’idea di classe dirigente che deleghi totalmente ai cittadini la tutela della propria sicurezza, così come la propria istruzione o le cure sanitarie. Non riesco a vedere in questo un’idea di progresso. Mi sembra un clamoroso passo indietro verso il passato (remoto per giunta).

Da cittadino, consapevole dei propri diritti, pretendo che lo Stato garantisca un adeguato controllo del territorio, attraverso il potenziamento delle piante organiche delle forze dell’ordine o degli operatori del sistema giudiziario. Ma mi aspetto soprattutto istituzioni capaci di interpretare la società e i suoi cambiamenti, di prosciugare le sacche di reclutamento della criminalità adottando adeguate politiche di prevenzione, riservando le giuste attenzioni alle periferie e alle fasce più disagiate. Mi aspetto uno Stato che applichi il dettato costituzionale a proposito del principio di riabilitazione dei condannati. Non è accettabile che le caselle di posta elettronica dei giornali siano invase ogni giorno dalle foto di rapinatori e spacciatori che entrano ed escono dal carcere (o dai domiciliari) senza che nessuno si sia fatto carico di spiegargli che è possibile fare scelte di vita diverse. Servono più insegnanti, più assistenti sociali, più progetti di rieducazione. Allo Stato non dovremmo dunque chiedere di lasciare fare a noi. Ma di fare quello per cui esiste, in un’idea di contratto sociale che non può prevedere compromessi al ribasso.

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