Trentanove anni senza Peppino Impastato

Vincenzo Figlioli

Marsala

Trentanove anni senza Peppino Impastato

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martedì 09 Maggio 2017 - 07:35

E’ difficile parlare di Peppino Impastato senza cadere nel déjà vu. Tanto è stato detto e scritto in questi anni a proposito del giovane militante di Democrazia Proletaria ucciso dalla mafia per le sue denunce contro Tano Badalamenti e il comitato d’affari che condizionava la vita politica ed economica di Cinisi. Dopo anni di depistaggi e di verità mancate, l’encomiabile attività di memoria che è stata portata avanti da amici, familiari e compagni di partito ha consentito di chiarire il quadro in cui maturò quell’omicidio, frettolosamente liquidato dalla stampa nazionale come l’harakiri di un terrorista, nella stessa giornata in cui le Brigate Rosse facevano ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro in via Caetani.

Il film “I cento passi”, inutile negarlo, ha consentito alla sua storia di arrivare a un pubblico molto più vasto, trasformando Peppino Impastato in una tra le icone antimafia più amate dai giovani italiani. Cinisi è diventata una tappa obbligata per scolaresche, studenti e militanti antimafia che ogni anno visitano Casa Memoria o partecipano agli eventi organizzati per le celebrazioni del 9 maggio. E nuove iniziative si affermano di anno in anno: l’ultima, meritoriamente, se l’è intestata la Navarra Editore, che ha promosso in queste settimane un progetto di crowfunding – #nelnomedipeppino – che mira a realizzare un bookshop dedicato alla cultura della legalità all’interno del casolare in cui si consumò l’omicidio, la notte del 9 maggio del ’78. Segno di un’attenzione che continua a crescere e della consapevolezza che il nome di Peppino, in questi anni, è diventato la chiave giusta per forzare le frontiere dell’indifferenza che spesso si frappongono tra i giovani e l’impegno civile.

Ma in un Paese che fa ancora grande fatica a rinnovare la propria classe dirigente, viene da chiedersi quanto spazio ci sia per quell’idea di antimafia sociale in cui credeva Peppino Impastato. Un’idea di legalità che non si fermava al mero discredito sociale dei capimafia o dei politici collusi, ma che parlava di lavoro, diritti (umani, civili e sociali), tutela dell’ambiente. Una visione della politica e della vita che è condivisa da tanti siciliani, più di quanto si pensi. Eppure, a Roma un Ministro siciliano come lui non lo hanno mai scelto, preferendo che a rappresentare la Sicilia ci fossero uomini come Angelino Alfano, portatore – così come tanti suoi predecessori – di una mentalità politica lontana anni luce da quella di Peppino Impastato.

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