Il portale dell’Unione Europea, ha pubblicato lo scorso anno, una ricerca sviluppata per Trafficko e co-finanziata dalle Open Society Foundations, sullo sfruttamento nel lavoro domestico e agricolo di stranieri in Italia. Si tratta di un’analisi critica degli strumenti di contrasto e prevenzione delle vittime, analizzando anche i motivi che portano a questo fenomeno. Negli ultimi anni infatti, la cronaca ha assistito soprattutto nel Centro-Sud Italia, a “morti di fatica” nei campi, non ultime le violenze subite dalle donne dell’est-europeo da parte di datori padri padroni, costrette a “vendersi” per pochi centesimi all’ora.
Tanto vale la loro vita, il loro lavoro. Secondo l’Inps, nel 2014 gli stranieri impiegati nei lavori domestici rappresentavano il 77,1%, i lavoratori agricoli stranieri erano 327.495; ma se guardiamo al sommerso, al lavoro nero, parliamo del 32% di forza lavoro impiegata irregolarmente. Purtroppo stiamo parlando anche di soggetti con regolare soggiorno o di rifugiati secondo i trattati internazionali. Ovviamente lo studio mostra che tra i fattori che rendono vulnerabili i lavoratori e le lavoratrici stranieri sono le precarie politiche migratorie, la chiamata a distanza dei lavoratori di non facile applicazione, il visto d’ingresso per cui bisogna attendere più di 6 mesi, una serie di richieste da parte degli uffici appositi su redditi e quant’altro, insomma, una legislazione ed una burocrazia, quella made in Italy, che spesso porta alle irregolarità. Paura, fame, bisogno di aiutare la famiglia e i figli all’estero, isolamento, sono le altre cause.
Sì perché relegati nelle campagne o all’interno delle mura domestiche, difficilmente i lavoratori stranieri riescono a entrare in contatto con sindacati e associazioni o ad accedere a servizi che forniscano loro assistenza. Per quanto riguarda il lavoro domestico, pare che la gran parte delle famiglie che ne necessitano, deve raggirare le norme del contratto collettivo perché i costi sono alti e così ricorre al lavoro nero; il Welfare in Italia non ha servizi pubblici ben strutturati. In agricoltura invece, il caporalato che in Italia è illegale ma che viene praticato e “tutelato” dalla mafia e dalle organizzazioni criminali, tende a massimizzare i profitti e ridurre di conseguenza il costo della manodopera. Sembra però, che ci sia anche una generale convinzione che l’illegalità conviene. E invece non è così e non dovrebbe essere così. Una buona gestione del lavoro, buone idee, premiano sempre. Da diversi anni ad esempio, l’Associazione Libera in tutto il territorio italiano promuove incontri con i giovani dicendo loro che è la legalità quella che conviene.
Perchè senza regole la mafia, la corruzione, l’evasione fiscale avrebbero la meglio. Una buona gestione del patrimonio, e alcune aziende-simbolo in Italia ci danno più di un esempio, porta la salute di tutti, datori di lavoro, imprese, lavoratori, economia. Ma il Paese deve superare gli impicci burocratici che lo vedono sempre di più imbrigliato. Perchè sì, ci sono le leggi che tutelano a diversi livelli i lavoratori irregolari, stranieri o meno che siano – così come previsto dagli articoli 35 e 36 della Costituzione Italiana e dai trattati europei ed internazionali – ma devono esserci anche le leggi e i contributi adeguati per sostenere l’imprenditoria, per attirare capitali dall’estero senza cavilli, imposizioni e tassazioni. Ma urge anche rivedere il sistema di controllo finanziario.