Umberto Veronesi, la dolce morte e l'articolo 32

Claudia Marchetti

Marsala

Umberto Veronesi, la dolce morte e l'articolo 32

Condividi su:

venerdì 11 Novembre 2016 - 18:12

“Non ha voluto essere ricoverato, nessun prolungamento, ha voluto andarsene in maniera naturale. Si è schierato per la liberalizzazione della droga e per tutte le battaglie, dall’eutanasia alla fecondazione eterologa, oltre alle unioni civili, il divorzio e l’aborto”. Sono le parole pronunciate dal figlio di Umberto Veronesi, Alberto, dopo la morte del padre, il grande luminare che ha curato oltre 50mila pazienti malati di cancro nel corso della sua carriera. La sua ricerca, la sua scuola e il suo pensiero, hanno portato la diffusione di una cultura basata sulla prevenzione delle malattie oncologiche, strenuo sostenitore della chirurgia alla mammella per migliorare la qualità della vita della donna, in alternativa alla mastectomia. Corretti stili di vita, cibi sani, vegetarianesimo, tutela dell’ambiente sono i fattori che ha sempre osannato, anche con forza e contro tutti, per migliorare la qualità dell’esistenza degli individui. Proprio alla fine della sua vita, Veronesi, ha scelto di andarsene, a quasi 91 anni, senza accanimenti terapeutici. In Italia l’eutanasia, sia quella attiva che quella passiva, è ancora un reato punito dagli articolo 575 e 580 del Codice Penale.

L’eutanasia è considerata alla stregua del “provocare la morte altrui” o dell’”istigazione al suicidio”. Il caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo per 17 anni dopo un incidente, e di suo padre Beppino, ci aveva già fatto riflettere anni fa. Giudizialmente quello è stato un caso storico: dopo battaglie e ricorsi, Beppino Englaro ha ottenuto dalla Corte d’Appello di Milano, l’autorizzazione ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata della figlia, in quanto ne era il tutore. Tutti si sono schierati contro di lui e contro quella pronuncia, venne anche iscritto nel registro degli indagati per omicidio volontario; alla fine,  la Procura della Repubblica di Udine archiviò l’inchiesta. Ad oggi però, non c’è una decisione univoca sulla materia proprio perché la legge andrebbe rivisitata. E andrebbe rivista anche alla luce di numeri e dati che danno da pensare, anche se l’empasse non è facile da superare perchè, prima di tutto, l’eutanasia è un problema etico. Sono circa 200 gli italiani che decidono di ricorrere alla “dolce morte” in Svizzera, uno dei paesi europei che – con Belgio, Olanda e in alcuni casi anche Regno Unito, Germania e Francia – riconosce l’eutanasia.

Nello specifico, sono 90 i cittadini italiani che contattato l’associazione Exit Italia per chiedere informazioni sul suicidio assistito in Svizzera. Addirittura, recentemente, sono arrivate richieste di genitori disperati per figli minori malati. Qui Exit non può fare nulla perchè per essi la “dolce morte” non è prevista oltre confine. Anche se in alcuni paesi è riconosciuta la figura del fiduciario-genitore, una sorta di tutore. Tra i vari casi, leucemie cui i medici non attestano miracoli, bimbi affetti da spina bifida, casi di SLA, di malati terminali e richieste ancora difficili da affrontare come quelle dei malati psichici. Non si tratta solo di persone che si stanno spegnendo con dolore e sofferenza, ma si tratta anche di persone che, costretti in un letto e dipendendo da un macchinario, non hanno perso la ragione e invocano la loro dignità. La dignità di andare via senza accanimento terapeutico, senza che qualcuno ogni giorno venga a vestirli e lavarli, senza vedere più soffrire e invecchiare le persone care. A tal proposito cito l’articolo 32 della Costituzione Italiana, in particolare il secondo e terzo comma: “… Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Non è dignità quella tutelata dalla nostra legge fondamentale dello Stato? Allora bisognerebbe applicare tale diritto che, nei casi estremi e gravi sopracitati, precede il diritto alla vita stessa.

Condividi su: