Questa è secondo me la settimana più bella dell’anno perché si celebrano due eventi culturali davvero unici, il Festival del cinema di Cannes e il Salone del libro di Torino.
Aprire finalmente i giornali per ritrovarci una miriade di articoli dedicati ai nuovi film in concorso alla Croisette o leggere avidamente i resoconti delle giornate piene di incontri con gli autori nel mitico Lingotto di Torino dove un tempo si fabbricavano le cinquecento o le otto e cinquanta, allontana la solita solfa delle tante anime del Pd, della crisi economica, dei centodieci candidati del centrodestra a Roma. Non è un discorso qualunquista il mio, ma il mondo dell’informazione rischia molte volte di renderci refrattari soprattutto perché passando dai giornali alle televisioni per poi finire su internet è sempre la solita musica con qualche lieve sfumatura. Il Salone Internazionale del libro poi ci aiuta a capire più di centomila cronache giornalistiche cosa sta succedendo nel mondo arabo attraverso lo speciale punto di vista degli scrittori arabi. Ogni anno Torino sceglie un paese, ospite speciale del Salone, e quest’anno dopo le iniziali polemiche il tema scelto è la cultura araba attraverso gli scrittori poco accettati dai regimi dei loro paesi. Infatti, dopo l’iniziale entusiasmo della Primavera araba, ci siamo svegliati anche a causa dell’impatto drammatico degli attentati di matrice integralista, e abbiamo capito quanto sia difficile il cammino verso la democrazia e la cultura laica per il mondo arabo. Per festeggiare a mio modo almeno uno di questi eventi culturali davvero speciali ho scelto di leggere questa settimana un libro di una scrittrice marocchina Leila Slimani che oggi vive in Francia, che è ospite speciale al Lingotto anche grazie al discreto successo che il suo primo libro intitolato “Nel giardino dell’orco“, pubblicato dalla casa editrice Rizzoli, ha riscosso in Francia.
La protagonista del libro è una giovane donna, Adele, sposata ad un medico di un ospedale parigino che vive una dimensione esistenziale difficile, quasi una doppia vita, moglie, madre e giornalista da un lato, femmina disinibita, che facilmente tradisce il marito con un forte desiderio di collezionare le più svariate esperienze sessuali dall’altro. Il racconto di queste esperienze erotiche in più parti del libro è esplicito, tuttavia quest’aspetto non deve trarci in inganno, non si tratta di una Fabula Milesia o di un racconto boccaccesco, ritroviamo infatti un realismo che ha poco di comico, molto di disperazione di una donna alla ricerca di una identità. Gli editori amano associare, come si può leggere nella quarta di copertina del libro, la storia a quella di Madame Bovary di Gustave Flaubert soprattutto perché la coppia a un certo punto della storia si trasferisce in provincia e Adele vive completamente la frustrazione della solitudine del nulla fatto di tran tran quotidiano di una vita medio borghese. Alla cultura francese in questi ultimi anni piace molto riportare il contemporaneo letterario ai modelli di riferimento soprattutto il romanzo dell’Ottocento, ma se è possibile esprimere un parere da appassionato lettore di romanzi questo libro esprime una forza che è da ricercare tutta nel racconto forte che Adele compie delle sue esperienze sessuali. Non so se riesco a rendere l’idea,ma se doveste incappare nella lettura di questo bel libro suggerirei di superare la normale pruderie che ogni storia di sesso suscita in uomini e donne e leggere invece tra le righe del romanzo la forza dirompente di una sessualità che può ai nostri occhi di lettori assumere diversi significati ma sicuramente la sua valenza politica è enormemente dirompente rispetto ad una cultura araba in cui l’emancipazione femminile è ancora un tabù.
Vincenzo Piccione