Ringrazia tutti i volontari l’Amministrazione alcamese che ieri ha atteso con emozione il risultato del concorso “I Luoghi del Cuore” promosso dal FAI, in cui i cittadini hanno segnalato e votato i luoghi italiani da non dimenticare per salvarli dal degrado, valorizzarli e proteggerli.
Anche Alcamo infatti si è aggiudicata un posto d’onore nella classifica generale oltre alla vittoria delle Saline di Marsala nella sezione speciale Expo 2015 – Nutrire il pianeta.
Con 71.967 voti il Castello di Calatubo nel territorio di Alcamo, complesso architettonico su uno sperone roccioso, dalle origini antichissime, si aggiudica il terzo posto nella classifica definitiva.
“E’ stata una giornata emozionante – afferma l’assessore alla cultura, Selene Grimaudo – che, insieme a Maria Rimi dell’associazione “Salviamo il Castello di Calatubo” abbiamo vissuto in modo intenso. Avremmo voluto (ed eravate con noi con il cuore) la presenza di Stefano Catalano e di tutti i volontari, veri protagonisti di questa bella pagina di condivisione tra persone accomunate dalla volontà di fare rivivere un bene culturale importante come il Castello di Calatubo. Quando una comunità si unisce e si mobilita per un obiettivo comune ecco che il terzo posto di ieri (traguardo importante perché il Castello è stato premiato fra tantissimi siti culturali di tutta Italia) diventa il primo posto per l’impegno profuso dai volontari dell’Associazione e tutti coloro che hanno sostenuto il Castello raccogliendo firme, ma anche solo con la loro firma”.
“È doveroso – continua l’assessore Grimaudo – da parte dell’Amministrazione comunale e del Sindaco, Sebastiano Bonventre, ringraziare tutte quelle persone che si sono unite in un abbraccio simbolico, riconoscendo ai volontari dell’associazione il proprio impegno per quanto hanno fatto, portando Alcamo e Calatubo alla ribalta della cronaca positiva dell’Italia che crede nella Cultura”.
(Dalla scheda FAI) Roccaforte molto suggestiva, il Castello di Calatubo si fonda su un rilievo roccioso (m 152 ca.) da cui si dominano il golfo di Castellammare e l’entroterra, fino a monte Bonifato con le relative fortificazioni. La posizione del sito, attraversato da importanti vie di comunicazione, la ricchezza del suo territorio e la presenza di uno sbocco marittimo per l’entroterra tra Partinico e Segesta, spiegano la presenza di un insediamento già in età arcaica e l’importanza che esso assunse in età normanna. Il castello costituisce un complesso architettonico pluristratificato di notevoli dimensioni (circa 150 x 35 m), i cui corpi di fabbrica si snodano lungo un compatto banco di roccia calcarea, assecondandone completamente l’andamento. Quando nel 1093 il Conte Ruggero definì i confini della nuova diocesi di Mazara, la fortezza di Calatubo esisteva già, venendo infatti inclusa fra i castelli nel nuovo grande vescovado. Circa sessant’anni dopo, quando il geografo musulmano Edrisi descrive la Sicilia sotto il regno di Guglielmo il Buono, Calatubo è indicato come robusta fortezza e villaggio con un vasto territorio nel quale si estraggono le pietre da mulino; notizia, quest’ultima, confermata anche dalle recenti ricerche che hanno individuato le antiche cave lungo il corso del torrente Finocchio. Dopo l’abbandono del villaggio, durante il periodo della guerra antimusulmana condotta nell’isola da Federico II di Svevia, il Castello, cessata la sua funzione militare, si trasformò in masseria a controllo del vasto feudo, trasformazione documentata dalle numerose strutture che si sovrapposero all’impianto originario, come magazzini, stalle e quant’altro fosse stato utile al buon funzionamento di una vasta azienda agricola qual’era il feudo di Calatubo. Fino agli anni ’60, il Castello era ancora in buono stato di conservazione, grazie al continuo utilizzo dell’antica dimora che, con pesanti interventi di ristrutturazione aveva consentito, comunque, il mantenimento delle fabbriche. Poi l’oblio. La fortezza, ormai abbandonata, divenne un ovile. L’azione distruttiva degli animali, il terremoto del 1968 e l’assenza d’interventi condusse al crollo dei solai e infine delle murature. A ciò si aggiunse l’opera degli scavatori di frodo che s’intensificò nell’area intorno al Castello, interessati ai reperti archeologici che venivano alla luce nell’importante necropoli scoperta lungo le propaggini della rocca e che documentava la presenza di un centro antico risalente al VII secolo a.C.