“Chi dubita sa, e sa più che si possa.”
Ecco, io dubito fortemente che questo sia un film ben riuscito su Giacomo Leopardi.
Il regista Mario Martone non è obbligato a fare un film su Leopardi (come non era obbligato a farne uno sul Risorgimento… ma questa è un’altra storia!), quindi, se decide di farlo, immagino che abbia qualcosa in più da dirci. Invece, il povero Leopardi, ne esce peggio che dall’idea fattasi da uno studente svogliato e annoiato sui banchi di scuola.
Ma non voglio solo parlarne male, dopotutto l’interpretazione di Elio Germano è buona e non dimenticherò mai le sue espressioni davanti ad una coppa di gelato o la sua postura da gobbo la cui incurvatura è direttamente proporzionale ai minuti del film.
La pellicola si divide bruscamente in due parti ben distinte e separate, e mentre la prima parte è basata sui rapporti familiari, con interpretazioni dignitose, approfondita bene nonostante alcune scelte troppo didascaliche; nella seconda parte il gusto per la didascalia prende il sopravvento, si dà inizio alla fiera del luogo comune, ed è pervasa da un accanimento gratuito su Leopardi che diventa l’enorme croce rossa su cui sventagliare raffiche di mitra; al punto che ti verrebbe voglia di fargli “pat-pat” e dirgli: “Dai Giacomino, torna a casa da tuo padre… che aveva ragione a segregarti!”; dopo che per tutta la prima parte non desideri altro oltre alla fuga da casa, lontano dalle parole castranti del padre e dai silenzi ancora più castranti della madre.
Si indugia con sadismo (che non ti aspetteresti da un regista che sceglie di fare un film su quel determinato personaggio, ribadisco: liberamente e non per costrizione!) su episodi futili e mortificanti.
Certo, ogni tanto, grazie al cielo, ci regala delle belle inquadrature che saltano all’occhio, tanto ci fa strano vederle in quel film, come gli intrusi del “Trova l’intruso”.
Poi, prendendo la via dell’Ovvio, svoltando per canto dell’Inutile accanimento, ritrovandosi in largo del Superfluo già della Noia, Martone ci accompagna al finale strizzando l’occhio a Malick e decidendo di scostarsi dalla fedeltà biografica, ci regala un finale che risulta troppo bello per quel film che abbiamo appena visto e il merito è soprattutto delle parole de “La ginestra”, quindi di quel genio sovversivo che fu Giacomo Leopardi… peccato che quest’occasione sprecata del cinema italiano ce lo farà ricordare soltanto come un povero sfigato…
Daniela Casano