È slittata al prossimo 12 gennaio l’udienza del procedimento giudiziario a carico dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, e altri tre imputati che si sta svolgendo al Tribunale di Trapani, davanti al giudice Piero Grillo. Il processo con giudizio immediato, iniziato nell’ottobre del 2016, è scaturito a seguito dell’inchiesta della magistratura denominata “Affari sporchi”, successiva al sequestro del cantiere dei lavori di ampliamento del Porto di Castellammare del Golfo da parte delle fiamme gialle.
Saranno sentiti il 12 gennaio del 2018, per il rinvio dell’udienza di ieri, i consulenti del pubblico ministero, Rossana Penna, nell’ambito del processo a carico dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, e dei tre coimputati: Maria Lucia Perricone (detta Mary), Marianna Cottone ed Emanuele Asta. I soggetti citati sono accusati di vari reati, tra cui: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, corruzione, truffa ai danni dello Stato e turbativa d’asta.
L’inchiesta della magistratura trapanese è sorta a seguito dell’ “Operazione Nettuno” del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani e della Tenenza di Alcamo, conclusasi con il sequestro del cantiere dei lavori del porto di Castellammare del Golfo. Detti lavori di ampliamento, previsti dall’Assessorato Regionale ai Lavori Pubblici per 39 milioni e mezzo di euro, ed emessi nel 2005 dal bando di gara del Comune di Castellammare del Golfo, sono stati assegnati a seguito dell’unica offerta presentata e, precisamente, quella di 24 milioni di euro da parte di un’ATI (Associazione temporanea di imprese), composta dalla capogruppo CO.VE.CO. ( Consorzio Veneto) e da due imprese locali: la COMESI e la COGEM.
Chi eseguiva sul posto i lavori per conto di COVECO era la sua associata, la CEA s.r.l., fondata nel 1969 dal padre dell’esponente storico del PSI alcamese, Pasquale Perricone, per l’appunto. L’ex vicesindaco, non figurava nell’organigramma della società dal 1996, che invece è stata successivamente rappresentata dall’amministratore Rosario Agnello ( imputato nel procedimento giudiziario parallelo) e considerato dai magistrati una “testa di legno” di Perricone. Tra i suoi sodali, nel cantiere del porto, con distinti compiti risultavano essere presenti anche la cugina Mary Perricone, Domenico Parisi e Mario Giardina (il quale ha patteggiato e non è imputato per tale motivo in questo processo). Insieme alle altre due imprese locali, è stata costituita nel 2007 la Nettuno, una società consortile che è diventata l’unico centro di imputazione dei costi relativi all’esecuzione di tutte le opere necessarie alla realizzazione dell’ampliamento del porto.
Tale società non disponeva, però, né di patrimonio né di redditività. Lo scopo principale, infatti, della società consisteva nell’acquistare materie prime e servizi da una pluralità di fornitori e nell’occuparsi dell’impiego della manodopera. Ma la Nettuno a.r.l., mediante un sistema di ribaltamento dei costi, mostratosi non funzionante, sarebbe stata permanentemente a credito delle consorziate di cui sopra. Infatti, dal 2009 al 2010 (anno del sequestro dei lavori del porto di Castellammare del Golfo), è stata registrata una patologica mancata fatturazione della società. Il tracollo della Nettuno sarebbe sorto al momento del pagamento del tredicesimo SAL (Stato Avanzamento Lavori), trattenuto dalla COVECO e non riversato alla CEA, dalla quale vantava crediti dal 2006, ossia prima della costituzione della Nettuno. Secondo l’accusa, la Nettuno avrebbe dovuto incassare 13 milioni dalla stazione appaltante, ovvero il Comune di Castellammare del Golfo, tramite l’ATI con COVECO come capogruppo, per spese sostenute di 11 milioni e 500 mila euro. Quindi, avrebbe dovuto incassare 1 milione e mezzo di euro come eccedenza. Nel 2011 il tribunale di Trapani ha dichiarato il fallimento della Nettuno a.r.l., e, secondo la magistratura, dietro la bancarotta della società vi sarebbe proprio la regia di Pasquale Perricone, che avrebbe fatto disperdere le ingenti somme di denaro pubblico affluite nella casse di Cea, la quale ha trasferito tutti gli oneri alla Nettuno che dalla prima vantava perennemente dei crediti.
Sarebbe stato, inoltre, l’ex vicesindaco a mediare i rapporti tra la CEA e Coveco per cercare delle soluzioni utili alla prima che si trovava in difficoltà, nonostante, come ricordato sopra, non fosse più amministratore della società dalla fine degli anni ’90. Nel corso di una intercettazione ambientale, nei locali della Promosud ( altra società a lui riconducibile), in via Goldoni numero 6, l’ex vicesindaco, a seguito dell’avviso di richiesta di proroga delle indagini preliminari, si mostrava preoccupato in una conversazione con la sodale Marianna Cottone per un probabile sequestro di beni. Mentre in altro colloquio con la cugina si rivelava a conoscenza di un interrogatorio avvenuto tra il pubblico ministero Rossana Penna (che ha condotto le indagini insieme al collega Marco Verzera) e Franco Morbiolo ( rappresentante della COVECO). Altra grana, infatti, per i cugini Perricone, discutendo sulla possibile strategia difensiva, consisteva nel giustificare la presenza di Mary Perricone nel cantiere della Nettuno, non essendo quest’ultima impiegata della società. In quel momento, secondo quanto riferito dalla cugina di Perricone, ella era amministratrice della società CPC (Cooperatori per costruire), che sarebbe stata creata ad hoc per acquisire le certificazioni SOA della CEA. Si tratta, nello specifico, di un attestato obbligatorio rilasciato da Organismi di Attestazione autorizzati che dimostra la capacità economica e tecnica di un’impresa di qualificarsi per l’esecuzione di appalti pubblici di lavori con un importo maggiore a 150 mila euro. Inoltre, tale operazione sarebbe servita per ottenere un ramo aziendale della CEA, portata anche questa, secondo l’accusa, appositamente in decozione.
Nelle prossime udienze, saranno sentiti come testimoni anche Franco Morbiolo e Gnech Mauro, rispettivamente presidente e direttore tecnico del suddetto Consorzio Veneto.