L’ “Elefante” nelle stanze della Democrazia è sempre stato quello del voto incompetente. E con sempre, si intende dagli albori della civiltà occidentale: da Pericle, attraverso l’età moderna intorno alla pietra angolare di Voltaire, fino ai giorni nostri. Che succede con il voto mal informato, inconsapevole, magari anche svogliato, oppure sprovvisto di difese dalla demagogia?
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Anche nella discussione politica italiana la questione del voto di quelli che non ci capiscono nulla è sempre stata trasversalmente presente. Qualche volta tema di riflessione teorica; decisamente più spesso “freccia del parto”, acre e risentita, degli schieramenti di opposizione. Oggi, nell’ “età Meloni”, regolarmente evocata fra le nebulose della galassia Progressista.
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È facile cercare un uno spunto analitico in Allego ma non troppo di Carlo M. Cipolla: scritto semiserio del ‘76, redatto in inglese, destinato inizialmente ad una cerchia ristretta di sodali americani, in cui lo storico imbastisce una “teoria della stupidità”. Teoria semiseria, sicuro, ma tutt’altro che sfuocata. In dotazione anche un sommario di Principi della stupidità e un apparato grafico in grado di tabulare il livello di fesseria. Stupido è, in somma, chi arreca danno a sé stesso o agli altri senza ricavarne alcun beneficio. Definizione perfetta agli occhi dei delusi dalle preferenze degli elettori.
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Certo, l’allure del Politically Correct, in cui spesso finisce imbrigliato il nostro dibattito, impedisce di dire spudoratamente “gli italiani hanno votato male”. Eppure questo pensiero c’è. E, più del pensiero, può esserci, in un certo modo, il fatto. D’altra parte, la Democrazia lo contempla: essa è tale solo quando è la casa anche del voto incompetente.
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C’è un interessante libro di Maurizio Ferraris, L’Imbecillità è una cosa seria, 2016. Qui, in pratica, il filosofo ribalta il “buon selvaggio” di Rousseau. Adeguandosi alla via etimologica per spiegare i fatti, definisce l’ “imbecille” come “in baculum”: lo “sprovvisto di bastone”. Potremmo dire, lo sprovveduto. Cioè colui che non ha lo “strumento” per agire nel mondo. In sostanza, l’escluso dalla tecnica e dai saperi – che è magari chi aborrisce a occhi chiusi la tecnologia, come chi in diverso modo ne rimane schiavo, oppure il qualunquista che svaluta la competenza e il pensiero critico – rimane “indietro” sul sentiero storico dell’umanità.
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L’idea è ficcante e utile analiticamente. Ferraris, però, poi, sul tema ha trovato delle formule edulcoranti, utili a rendere digeribile e poco problematico il suo ragionamento. Si dice che “tutti” abbiamo le nostre “imbecillità” e che “tutti” siamo ogni tanto, transitoriamente, “imbecilli”. E alla fine “tutti” vale come “nessuno” e viceversa. E quindi discorso si arresta.
Va detto che in letteratura, tale schema a “lancio e ritirata”, su questo tema, è sempre stato molto diffuso. Sarà che anche i più misantropi hanno compreso in fretta che dare deli stupidi ai vicini può essere facilmente controproducente. Tutto questo accade, in tempi recenti, anche quando si tira in ballo l’abbassamento della curva dell’Effetto di Flynn. Lo psicologo James Robert Flynn, negli anni ’80, aveva pubblicato una serie di studi tesi a documentare come nel corso del ‘900 le capacità intellettive della popolazione di diversi paesi nel mondo fossero in costante aumento. Raccogliendo dati da più di venti paesi “sviluppati”, considerando contesti socio culturali diversi, la sua conclusione era stata che circa ogni decennio si poteva attestare un aumento medio di 3 punti di QI. Al di là delle critiche e dei tentativi di spiegazione – che, va detto, hanno qualcosa di davvero interessante da dire se incrociati ai fenomeni di globalizzazione culturale e economica – la cosa che interessa noi di più è l’inversione di questa tendenza. Dopo i duemila, stando ai parametri di Flynn, l’intelligenza non cresce più. Si legga lo studio dell’Università di Oslo: The End of Flynn Effect?. E quindi? Semplicemente, quasi nulla. Il dibattito internazionale – e di conseguenza anche la riflessione sulle strategie politiche nazionali – si è spesso arrestato grazie al “contrafforte” Gardner. Si tratta dello psicologo di Harward divenuto noto per il principio delle “intelligenze multiple”: ognuno ha il suo stile cognitivo e non esiste misurabilità. Formulata nel 1983, tale teoria è diventata uno dei mantra del Politically Correct: usata come un bastone dai catecumeni della Giustizia Sociale ha fatto piazza pulita di ogni sorta di imbecillità e ha conferito un piacevole odore di scientificità all’ “importante è partecipare”. I QI si stanno davvero piegando? Non importa, Gardner ha fatto fuori il problema.
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Ora, al di là delle definizioni e delle varie “normalizzazioni” dell’imbecillità, gli effetti delle scelte incompetenti ci sono. Eccome! Si veda l’analisi dei dati prodotta dall’Istat nel dicembre 2023. Sentenza inappellabile: italiani sonnambuli. E la prossimità tra sonnambulismo e in-becillità – nel senso utilizzato da Ferraris –è tale, proprio dall’interpretazione dell’Istituto di Statistica, da destare molte riflessioni. Stiamo alle rilevazioni. Gli italiani si sentono sconfitti e impotenti. Di fronte alle trasformazioni ostili della società non sanno reagire. “Resi fragili da disarmo identitario e politico”, anche di fronte a pericoli annunciati – e provati a suon di calcoli – come la flessione demografica, si ritirano in una muta indolenza. Il 56% (61,4% tra i giovani) ritiene di non aver peso nella società. Si aggregano, si, come somma di interessi individuali; ma quando tali interessi sono soddisfatti o delusi, i gruppi si sciolgono. Per l’80% degli italiani, l’Italia è già sulla china di un inarrestabile declino. Perciò aumenta la spesa consolatoria, quella che punta dritta all’effimero. Si preferisce naufragare in narrazioni emotive, e ritagliare la realtà: entro la fine del 2023 c’è stata, si, una celebratissima impennata dell’occupazione, ma nello stesso tempo c’è stato un significativo calo delle ore lavorate in ogni settore. -3,0% nell’agricoltura, -1,1% nell’industria, -1,9% nelle costruzioni. Per farla breve, si procede verso un lavoro sempre più “povero”. Così il peso dei laureati sugli espatri tocca la vetta del 45,7% (già nel 2021). “Drenaggio di competenze” è l’espressione usata nel report. Sigla finale: al 2040 si attende che solo il 25% delle coppie avrà figli.
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Ora, se è un Paese non è in grado di assumere distanza critica, guardare la realtà per come è, e agire, allora temo possa veramente dirsi un paese di imbecilli. Detto questo, c’è una grande domanda di fondo. Tutto questo può essere il precipitato indesiderabile della Democrazia? Lo scarto di lavorazione, divenuto enorme al punto da subissare l’intero, di una Democrazia immatura in un Paese impreparato?
Sebastiano Bertini
Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340