Ore 00.40, siamo a letto da oltre un’ora e non riusciamo a prendere sonno. Anzi, lei non riesce a prendere sonno. Le ho raccontato tre favole, addormentandomi di tanto in tanto e improvvisando finali alternativi, dimenticandomi quelli originali. Abbiamo invocato la “fatina del sonno”, affinché ci buttasse la polverina magica capace di farci fare sonni tranquilli. Abbiamo guardato una intera serie di slime challenge di Me contro Te (questa solo per veri intenditori). Ma i miei tentativi di mettere fine ad una giornata stremante non hanno funzionato.
Ho gli occhi chiusi, mio marito non è a casa, dormo in mezzo fra le mie due figlie, tenendole strette a me. Stiamo pregando per l‟intero universo, mia figlia ha inserito fra le sue attenzioni e quelle celestiali persino Peppa Pig, Nemo e il cagnolino del film Hachiko. Riposino in pace.
Quando le preghiere sembrano essere terminate, la luce è ormai spenta, i pensieri stanno ormai tacendo, “mamma, ma quando uno muore va in cielo?”.
Abbiamo affrontato l’argomento decine di volte, ormai.
“Sì, amore”.
“Allora il nonno Gianni è in cielo?”
“Sì, amore”.
Non è ancora convinta. “E noi non possiamo vederlo?”
“No, amore. Dormiamo però, dai.”
“No, ma intendo dire, anche se guardiamo in cielo, non possiamo vederlo? Come è salito in cielo, così lontano?”
“Bella domanda, non saprei.”
“Forse con una corda?”
“Forse con una corda.”
“O magari con una scala?”
“Magari, chissà.”
69
“Mamma, ho capito. E’ volato.”
“Sì, qualcosa del genere.”
Sembra sia finita qui. Passano pochi minuti e poi: “Dammi la mano, mamma.”
“Perché, amore?”
“Così se Gesù ti tira io ti trattengo qui. E se tira troppo forte, allora io vengo con te.”
“Non vado da nessuna parte, puoi dormire tranquilla.”
Non vado da nessuna parte, almeno non questa notte.