Santa Lucia: tradizione, devozione e anche arancine. Ecco perché non si mangiano pane e pasta

redazione

Santa Lucia: tradizione, devozione e anche arancine. Ecco perché non si mangiano pane e pasta

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venerdì 13 Dicembre 2019 - 06:00

Il 13 dicembre è la giornata in cui si celebra Santa Lucia il cui nome deriva dalla parola latina “lux” che significa luce. Non è un caso che questa data coincida con il periodo in cui le giornate, molto prossime al solstizio d’inverno, siano le più brevi dell’anno e che la speranza sia riposta nella “promessa di luce” di cui la Santa Martire siracusana è portatrice. Un antico proverbio contadino infatti recita così “Santa Lucia è ù jurnù chiù curtu cà c’è in tuttu l’annu” ma anche altri detti popolari famosi e tipici del nostro territorio ne sanciscono l’essenza. “Di la ‘Mmaculata a S. Lucia quantu un passu di cuccivia” (allodola) e di Santa Lucia a Natali, quantu un passu d’omu” a conferma che dopo le giornate brevi e le nottate lunghe, la speranza che arrivi sempre ed immancabilmente, la luce, non verrà disattesa. Tradizione, Devozione e leggenda sono immancabilmente legate a questa giovane e bella Santa siciliana. Gli storici narrano che Lucia sia nata a Siracusa in una famiglia nobile e ricca alla fine del III secolo e che sia rimasta orfana di padre a soli 5 anni. La madre professa la religione cristiana ma è costretta a nascondere il suo credo religioso a causa delle persecuzioni. Quando la madre si ammala, Lucia la porta in pellegrinaggio presso la tomba di Sant’Agata per chiedere la Grazia di guarigione.

Lucia si addormenta sul sepolcro della Santa catanese che le appare in sogno e le preannuncia la guarigione della madre e il suo futuro di Santa. La madre in effetti guarisce e Lucia, decide di non sposarsi per dedicare la sua vita ai poveri della città donando le sue ricchezze. Lo spasimante di Lucia, innamorato dei suoi occhi, sentendosi tradito e rifiutato, denuncia a Pascasio, prefetto di Siracusa, la fede cristiana della bella giovane. Lucia viene arrestata e in carcere tentano di convincerla a rinnegare Gesù. La giovane rifiuta e Pascasio ordina che venga portata in un postribolo ma quando i soldati tentano di spostarla, si compie il primo miracolo. Lucia diventa pesantissima e i soldati sono costretti a rinunciare. Accusata di stregoneria, Lucia viene cosparsa d’urina, di pece e di olio e messa al rogo ma il suo corpo non brucia. Pascasio, arrabbiatissimo, ordina che Lucia venga allora decapitata con la spada. Lucia muore il 13 dicembre del 304 e la tradizione narra che le vennero anche cavati i begli occhi, ecco perché nell’iconografia classica viene rappresentata con un piatto in cui sono posati gli occhi. Santa Lucia è venerata come protettrice infatti della vista. Un’altra leggenda narra invece che fu la stessa Lucia a strapparsi gli occhi e a mandarli al suo giovane innamorato. La giovane, infatti, per tenere fede al Vangelo secondo Matteo che in una frase recita “se i tuoi occhi suscitano peccato, strappali e buttali via,” si strappò gli occhi e li mandò in dono al giovane. Di notte, però, Gesù, impietosito dal gesto, la guarì rimettendole nelle orbite due occhi ancora più belli. La tradizione vuole però che il 13 dicembre, i devoti al culto della Santa si astengano dal mangiare pane e pasta e il motivo affonda le sue radici in un miracolo attribuito alla Santa siracusana. Si narra che a Palermo, era in corso una grave carestia e i palermitani, stremati dalla fame, pregavano la Santa affinchè facesse arrivare le provviste di grano che scarseggiavano in città. All’improvviso, era il 13 maggio del 1646, una colomba bianca, entrò dentro la Cattedrale durante la Messa e subito dopo, una voce annunciò l’arrivo al porto di Palermo di un bastimento carico di grano. Venne gridato al miracolo e i palermitani, affamati, per fare in fretta e riempire subito lo stomaco, non macinarono il grano ma lo bollirono e lo mangiarono condito con l’olio. Questa pietanza viene chiamata cuccia ed è tipica della nostra tradizione e il nome deriva da “coccio” cioè chicco.

L’antica “cuccia” è diventata nel tempo uno squisito dolce solitamente condito con crema di ricotta e cannella o con scaglie di cioccolata. Un famoso motto palermitano recita così: “Santa Lucia, vulissi pani, pani unn’ aiu e accussi mi staiu”. Star delle nostre tavole non è però soltanto la cuccia. In memoria di quel giorno, si preferisce mangiare anche il riso. Il 13 dicembre, infatti, sulle tavole siciliane imperano le gustosissime arancine, il gateau di patate e le crocchè ma anche le panelle fatte con la farina di ceci.

Per chi volesse preparare le arancine (da noi sono femmine in barba a chi le chiama arancini…, ndr) ecco la ricetta per prepararle sia con il ragù di carne e piselli e anche con il prosciutto.

Per 10 arancine circa

500 gr di riso carnaroli o vialone nano

70 gr di burro

2 bustine di zafferano e q.b di sale

Per il ragù di carne:

150 gr di carne macinata di maiale

50 gr di carne macinata di bovino

1/2 cipolla

1/2 carota

un pezzetto di sedano

2 foglie di alloro

2 – 3 chiodi di garofano

2-3 cucchiai di olio extravergine

200 ml di passata di pomodoro densa

100 gr di piselli

1/2 bicchiere di vino bianco

sale

80 gr di caciocavallo da grattugiare + 50 gr in pezzettoni (facoltativo)

Per la panatura:

farina 00 (6 – 8 cucchiai e anche un pò di più a seconda di quanto ne assorbono le arancine)

acqua quanto basta e pangrattato

PROCEDIMENTO

Prima di tutto bollite il riso in abbondante acqua e sale, scolate al dente, mantecate in pentola con burro e zafferano fino a quando non otterrete un composto perfettamente cremoso e amalgamato: mantecare il riso con il burro. Trasferite su una placca o una teglia larga, in modo che il riso si possa raffreddare in maniera uniforme.

Ragù di carne e piselli:

tritate cipolla, sedano e carota molto finemente, soffriggete con olio, aggiungete le carni macinate, lasciate rosolare 1 minuti, sfumate con vino. Lasciate asciugare, versate quindi la passata di pomodoro, alloro, chiodi di garofano e lasciate prendere il bollo. coprite con un coperchio e lasciate cuocere a fiamma dolce per almeno 50 minuti. Il ragù di carne deve risultare denso, quindi togliete coperchio e fate tirare il più possibile, aggiungete infine i pisellini, benissimo anche quelli già congelati. Lasciate cuocere per ancora 15 minuti senza girare troppo, devono risultare integri. Eliminate le foglie di alloro e chiodi di garofano. Lasciate raffreddare mezz’ora, infine aggiungete il caciocavallo grattugiato. Salate e lasciate raffreddare completamente.

Come formare le arancine di riso: Prima di procedere alla formazione delle arancine è bene che riso e ragù siano perfettamente freddi. Prelevate un pugno di riso e con una mano tenete il guscio, con l’altra scavate dentro al fine di realizzare un involucro per il ripieno: Adagiate dentro 2 cucchiaini di ragù e un pezzetto di caciocavallo. Aggiungete sopra un cucchiaino di riso e modellate con le mani ogni arancina. Potete decidere se realizzarla perfettamente tonda oppure come le originali arancine palermitane a forma di cono.

Man mano che li realizzate compattate molto bene e ponete in un piatto da portata. In una ciotolina a bordi alti aggiungete la farina e versate qualche cucchiaio di acqua al fine di creare una pastella densa e appiccicosa che non sia troppo fluida, ma della consistenza della tempura. Immergete l’arancina e fate in modo che venga ricoperto di tutta la pastella. Trasferitela poi nel pan grattato dove gli darete nuovamente la forma . Per la frittura, scegliete un pentolino a bordi alti, in cui friggere in abbondate olio di semi di arachidi 2 massimo 3 pezzi per volta, quando l’olio è bollente e ad una temperatura di 175°. Potete valutare la temperatura perfetta immergendo uno stecchino se si riempie di bollicine è pronto. Immergete le arancine di riso in olio bollente e fate cuocere per 2 minuti circa Scolate su carta assorbente quando sono belli dorati e buon appetito!

Ingredienti per circa 12 arancine al burro

Per il riso:

500 gr di riso (noi, di solito, usiamo 250 gr della varietà Roma e 250 gr di Originario)

1,1 litro di brodo vegetale

2 bustine di zafferano

10 gr di sale

60-100 gr di burro

Per la finitura:

100 gr di farina

180 ml di acqua

2 uova

pangrattato

Per la besciamella:

400 ml di latte

40 gr di burro

40 gr di farina

noce moscata

sale quanto basta

pepe nero quanto basta

Per la farcitura:

200 gr di prosciutto a fette spesse

200 gr di provoletta

Preparazione di riso e condimento

In una pentola, mettere il brodo, il burro, lo zafferano e il sale

Quando il brodo è in ebollizione, aggiungere il riso e mischiare bene. Coprire e lasciar cuocere a fiamma bassa finché il riso non assorbe tutto il brodo e risulta cotto ma al dente. A cottura ultimata, mantecare con del formaggio (facoltativo), versare il riso su un piano freddo e stendere in maniera uniforme per permettere un rapido raffreddamento. Quando il riso si è intiepidito, è pronto per poter preparare le arancine E’ importante far asciugare per bene il riso durante la cottura. Non deve essere nè troppo caldo nè troppo umido, o potrebbe incollarsi allo stampo.

La besciamella

Preparare la besciamella come di seguito: far sciogliere 40 gr di burro in un pentolino

Quando il burro è fuso, togliere il pentolino dal fuoco

Aggiungere 40 gr di farina mischiando con una frusta ed unire 500 ml di latte versato a filo per evitare che si formino grumi

Rimettere sul fuoco e far cuocere a fiamma bassa finché la crema non si addensa, mischiando continuamente per assicurare una consistenza liscia ed omogenea

Regolare di sale e di pepe e completare con la noce moscata

Spegnere il fuoco e lasciare intiepidire

Il condimento

Tagliare il prosciutto e la mozzarella a dadini e aggiungere alla besciamella intiepidita. Dare forma all’arancina e passare sulla pastella e sul pangrattato come riportato in seguito:

In una ciotola, porre la farina

Aggiungere l’uovo e l’acqua e sbattere bene con delle fruste

Quando la pastella risulta liscia e densa, passarvi le arancine. Subito dopo, passare le arancine nel pangrattato

La frittura

Friggere in abbondante olio fino a doratura, per un’ottima frittura usare uno tra questi oli: olio di semi, olio di arachidi, olio di oliva, olio di palma.

Far raggiungere ai suddetti oli la temperatura ideale di 190°, sia in pentola che impostandola manualmente sulla vostra friggitrice.

Accettarsi del raggiungimento della temperatura immergendo una mollica di pane, la quale se sfrigola, indica che l’olio è pronto.

Immergere quindi delicatamente le arancine possibilmente poche per volta per non abbassare troppo la temperatura dell’olio.

Porre infine su carta assorbente e servire. Buon appetito!

Tiziana Sferruggia

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