“Linguaggio e politica nell’era digitale”. Una ‘lezione’ di Franco Lo Piparo

redazione

“Linguaggio e politica nell’era digitale”. Una ‘lezione’ di Franco Lo Piparo

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sabato 28 Settembre 2019 - 15:56

Più ancora che una relazione o una classica conferenza, è stata una vera e propria amabilissima lezione accademica, quella tenuta da Franco Lo Piparo, a sostanziare l’incontro su “Linguaggio e politica nell’era digitale” di venerdì scorso, al Convento del Carmine. L’iniziativa è giunta anche a corollario della rassegna “Le parole e le cose”: un ciclo di incontri tematici, dedicati alla memoria e agli insegnamenti di Tullio De Mauro (cittadino marsalese onorario, recentemente scomparso), ideati e coordinati dall’inesauribile Antonino Contiliano, e che nello scorso inverno hanno avuto luogo quasi alla macchia, ospitati dalla galleria d’arte 4Arts di Sal Giampino.

Di fronte a un pubblico particolarmente attento, composto in prevalenza da studenti, oltre che dai soliti addetti ai lavori, Lo Piparo – già docente di Filosofia del linguaggio nell’Ateneo palermitano e studioso di Gramsci – si è soffermato a lungo sulla lingua dell’uomo (“l’unico animale che ha facoltà di linguaggio-parola”), da considerare come la prima vera e perenne rivoluzione che ha mutato senza sosta e in modo imprescindibile sia i rapporti dei soggetti tra di loro (polis) che tra i soggetti e le cose. Dal momento in cui il linguaggio ha totalmente permeato la vita sociale e politica delle comunità si è venuta così a creare una frattura irreversibile tra la lingua, i linguaggi e le cose: le parole ‘amore’ e ‘odio’, per esempio, non sono la stessa cosa del sentire che nominano, così come la parola ‘casa’ non corrisponde perfettamente ai materiali che la fanno.

Non tradendo mai la chiarezza esemplare e la discorsività del suo stile espositivo, Lo Piparo ha citato il mito di Theuth (presente nel Fedro di Platone) per sottolineare anche i ‘limiti’ della scrittura che ha sottratto, per paradosso, spazio alla nostra memoria, rendendoci fatalmente più sapienti presunti che reali. Il professore ha poi continuato a delineare quattro tappe linguistiche rivoluzionarie: il passaggio dal linguaggio orale alla scrittura (e con ciò, appunto, il potenziamento o depotenziamento delle capacità umane), la stampa a caratteri mobili (così da poter leggere in proprio e senza mediatori), la nascita della radio (la comunicazione a distanza e oltre i confini del proprio territorio), e infine la rivoluzione innestata dal linguaggio digitale che ormai struttura e condiziona qualsiasi centro (economico-produttivo, commerciale, scolastico, culturale, politico elettivo etc.). Con la creazione di uno spazio ‘pubblico’, in cui nessuno Stato ha il controllo delle procedure e delle regole, il rischio – secondo lo studioso, che si è comunque tenuto lontano da qualsiasi facile retorica apocalittica – è quello di un linguaggio trasversale che condiziona e controlla tutti, perché sfrutta i bisogni e gli interessi di cui ognuno di noi oggi lascia liberamente traccia in rete: una società del controllo indiscriminato che potrebbe minacciare orwellianamente i fondamenti costitutivi delle democrazie liberali e repubblicane, finendo per alterare l’identità dei popoli (la loro lingua, i loro territori, i sistemi costituzionali e giuridici).

Non sono mancati, in questa prospettiva, i riferimenti all’attualità politica italiana e alle cosiddette “post-verità”, che sono sempre esistite nella Storia sotto altre denominazioni, e si possono considerare discendenti parentali delle dicerie, di certi luoghi comuni e delle frasi fatte. Nell’epoca dei social siamo infatti tutti diventati, volenti o nolenti, “soggetti attivi di discorso pubblico”, ed è per questo che alla celebre questione degli ‘imbecilli’ evocati, con tutti gli equivoci del caso, da Umberto Eco, Lo Piparo sembrerebbe opporre questa nuova evidenza con cui fare consapevolmente i conti. Nella piena consapevolezza che nessuno è riuscito finora a dirci in modo convincente dove stiamo andando.

                                Francesco Vinci

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