C’erano una volta gli scuolabus. Non è solo l’inizio nostalgico di una favola, è un dato di fatto: un servizio pubblico che per anni ha rappresentato una parte fondamentale della vita scolastica, soprattutto nelle città di provincia come Marsala, sembra oggi destinato a scomparire, o almeno a resistere in forma sempre più ridotta, marginale, quasi residuale. Fino ai primi anni 2000, lo scuolabus era una presenza fissa nel paesaggio quotidiano: il piccolo mezzo giallo che si infilava tra le stradine di campagna per raccogliere bambini sonnolenti e riportarli a casa nel pomeriggio, spesso in una corsa all’ultimo saluto tra compagni. Oggi? Sì, gli scuolabus esistono ancora ma in molte altre realtà piccole come le nostre, i mezzi partono con pochi studenti, a volte una decina. Eppure, è bene ricordarlo: il trasporto scolastico è un diritto. Un obbligo per legge, affidato ai Comuni per l’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado, alle Province per le scuole superiori. Non è un favore, non è un optional: è uno degli strumenti che garantiscono il diritto allo studio, soprattutto per chi vive nelle periferie o nelle contrade più lontane. I tempi si sa, cambiano. Una volta, in una famiglia spesso c’era una sola macchina, oggi se ne contano due, tre per ogni nucleo.
Nei nostri centri cittadini le distanze sono ancora “umane”, si può vivere il lusso di rientrare a pranzo a casa. Un’abitudine che altrove, soprattutto nelle grandi città del Centro-Nord, è scomparsa da tempo: si parte alle 6 e si rientra la sera, dopo una giornata ininterrotta tra scuola, lavoro e traffico. Il traffico. Se da un lato lo scuolabus è stato progressivamente abbandonato, dall’altro la presenza di auto private – e anche di minicar guidate da studenti – intasa letteralmente le strade intorno alle scuole. Scene quotidiane di caos, clacson e parcheggi selvaggi. Quando, invece, basterebbe tornare a credere in un servizio pubblico essenziale, pensato per semplificare la vita e non complicarla. Chi ha preso per anni lo scuolabus lo sa: non era solo un modo per arrivare a scuola. Era un momento di socialità, di formazione non formale. Si parlava, si rideva, si creavano legami.
Certo, c’era il sacrificio di doversi alzare molto presto, di tornare tardi, ma c’era anche il senso di appartenenza a una comunità scolastica che oggi risulta frammentato. Ogni famiglia nel proprio abitacolo, ogni bambino nel proprio sedile, tablet alla mano. Il risultato? Una mobilità più caotica, un ambiente più inquinato, una scuola più isolata dal contesto in cui vive. Forse è tardi per tornare indietro ma non è troppo tardi per ripensare seriamente il ruolo del trasporto scolastico, non come “costo”, ma come investimento, non come servizio marginale, ma come infrastruttura sociale. Gli scuolabus non devono essere un ricordo d’infanzia, ma una risorsa da valorizzare.