Giovanni Brusca, il mafioso che azionò il telecomando che innescò l’esplosione il 23 maggio del 1992 in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, è tornato libero. A fine maggio sono trascorsi i 4 anni di libertà vigilata impostigli dalla magistratura di sorveglianza, ultimo debito con la giustizia del boss di San Giuseppe Jato che ha commesso diversi omicidi e che, dopo l’arresto e dopo un primo falso pentimento, decise di collaborare con la giustizia. Brusca ha scontato 25 anni di carcere, continuerà a vivere lontano dalla Sicilia sotto falsa identità e resterà sottoposto al programma di protezione. “Credo sia indegno che Brusca, per quanto abbia avuto accesso alla legge sui collaboratori di giustizia sia libero. Mi aspetto che la città si indigni dinanzi a questa notizia. Se è vero che è cambiata. Ritengo che non si possa rimanere indifferenti” ha affermato Tina Montinaro moglie di Antonio, caposcorta del giudice Falcone, rimasto ucciso nella Strage di Capaci insieme ai colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Maria Falcone, sorella di Giovanni, si è espressa così sulla decisione della giustizia: “Come cittadina e come sorella, non posso nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre. Ma come donna delle Istituzioni, sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno”. Brusca è stato protagonista di uno degli episodi più atroci della storia della mafia italiana, l’omicidio di Giuseppe di Matteo. Allora dodicenne, il figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo fu rapito il 23 novembre 1993 su ordine del boss. L’11 gennaio 1996, dopo 779 giorni di prigionia, all’età di 15 anni, il ragazzo, ormai debilitato, venne strangolato e il suo corpo sciolto nell’acido. Il sequestro mirava a costringere il padre a ritrattare le sue dichiarazioni contro Cosa Nostra. Brusca e altri mafiosi furono condannati all’ergastolo per il crimine.