Il prof. Antonino Sammartano torna a raccontarci di una vicenda storia accaduto all’inizio del ‘900:
Il 7 febbraio del 1903, verso le 15, il cav. Spanò si era recato con il suo carrozzino, ed in compagnia del suo cocchiere Antonino Ferrante, in una delle sue tenute in contrada Baiata. Dopo aver assistito ai lavori che i contadini stavano eseguendo, verso le 17 decideva di far ritorno in città. Durante il ritorno si fermava per mezz’ora in una sua mandria, che si trovava in contrada Fiumarella. Alle ore 18,30 circa si dirigeva, sempre con il suo carrozzino, verso Marsala. Ma dopo aver percorso circa cinquecento metri, veniva aggredito da otto malfattori, che spianando i loro fucili, gli intimavano di fermarsi.
Il cav. Spanò, considerando che sarebbe stato pericolo disobbedire, si fermò immediatamente Allora quattro di quei malfattori occupavano la strada per impedire ai contadini, che a quell’ora in gran numero si avviavano verso il paese, di procedere innanzi. Altri due montavano nella vettura, e, impadronitisi delle redini, conducevano i cavalli verso il terreno che fiancheggiava lo stradale. Raggiunto un cavallo che si trovava a poco distanza e che i malfattori avevano appositamente condotto, il cav. Spanò veniva fatto scendere dalla vettura e costretto a montare sul cavallo. Percorso poche centinaia di metri, veniva imposto al cocchiere di allontanarsi. Il gruppo camminò così buona parte della notte a passo abbastanza affrettato, attraversando sciare, terre incolte e accidentate, sempre in direzione nord.
Era ancora notte quando i malfattori lo fecero scendere dalla giumenta ed entrarono in una casetta rurale, dove rimase solo nei due giorni seguenti. Dopo due giorni lo condussero in un’altra località e lo chiusero in una stalla sotterranea, dove, dopo 27 giorni, fu ritrovato dalla forza pubblica. Dormì la prima notte per terra, ricevendo le scuse dai rapitori e le promesse che nel giorno seguente avrebbero procurato di farlo stare meglio. Difatti, il giorno dopo venne calato in quella specie di sotterraneo un lettino e gli venne preparato un discreto giaciglio. Di guardia fu lasciato un giovanotto di circa 20 anni.
Chi era il cav. Spanò?
Il cav. Isidoro Spanò apparteneva ad una delle famiglie più facoltose della città di Marsala. Un suo zio paterno ( allora ottantenne ), marchese Spanò, possedeva circa 10 milioni, ed era vedovo e senza figli. Una sua sorella era moglie del cav. Genna, il quale aveva una rendita annua di lire seicentomila, ma tanto era ricco di milioni quanto povero di spirito. Qualche anno prima del sequestro, tra le altre sue stranezze, aveva deciso di non riscuotere più un soldo dai suoi numerosi gabelloti, e di non pagare neanche un centesimo di tasse per nessuna ragione al mondo. L’esattore sorpreso dalla sua morosità del più grosso dei suoi contribuenti, dopo numerose sollecitazioni riuscite vane, finì col procedere ad un pignoramento. Allora la famiglia chiese ed ottenne l’interdizione, divenendo tutricre la moglie. Questa affidò l’amministrazione del cospicuo patrimonio al fratello cav. Isidoro.
I malfattori, sequestrando il cav. Spanò, quindi, erano sicuri di fare un buon colpo, in quanto speravano, anzi erano sicuri che la sorella, signora Genna, non avrebbe esitato a pagare il riscatto. Il cav. Spanò all’epoca del sequestro aveva quasi cinquant’anni. Da sempre si era occupato delle sue proprietà e ad accrescere il suo patrimonio. Egli era definito dai suoi conoscenti una persona non ambiziosa e non aveva mai partecipato alla vita politica della sua città. Si era sposato con Teresa Palma, una donna più giovane di lui di 15 anni, dalla quale aveva avuto tre figli, di cui l’ultimo pochi giorni dopo il sequestro. Il suo nome non era mai risuonato nelle gare di beneficenza. Abitava in una casa dall’apparenza poco monumentale, le cui porte non si erano mai aperte né ad un ballo, né ad una festa per la carità.
Il cav. Spanò sembrava a molti poco prudente, giacché, nonostante fosse stato minacciato, andava in giro per le campagne in compagnia di un cocchiere. Egli si fidava forse un po’ troppo della protezione di tutti gli uomini che aveva preso a suo servizio per la custodia dei suoi fondi e di quelli del cognato cav. Genna. Il cav. Spanò, come quasi tutti i proprietari della Sicilia, sapeva che era inutile affidarsi all’aiuto delle autorità di pubblica sicurezza e si circondava perciò di gente che reputava capace di difenderlo da ogni insidia. Questa gente gli costava parecchio, poiché a sua volta doveva non di rado cedere alle pretese di qualche malfattore. Il cav. Spanò, infatti, di tanto in tanto era vittima delle estorsioni. Egli dunque viveva in buona pace con tutti e riteneva di non aver nulla da temere.
Ma questo accordo a un certo punto fu rotto. Il cav. Spanò aveva preso a suo servizio in qualità di campiere un avanzo di galera, un certo Pasquale Di Prima, il quale 15 anni prima facendo parte di una banda locale (la banda Calamia ), era stato arrestato dalle forze di P.S.. in seguito ad un conflitto a fuoco, mentre tentava con i suoi compagni di sequestrare il cav. Genna. Il Di Prima, dopo aver scontato la pena, venne messo in libertà. Egli era senza dubbio un “uomo di fegato” ed aveva ottime relazioni con i malandrini locali. Così il cav. Spanò lo prese a suo servizio. Ma il Di Prima, secondo voci locali, era un uomo un po’ avido, e delle somme di denaro che il suo padrone sborsava per i suoi amici, tratteneva la parte maggiore. Ma questo gli amici non lo gradivano e si ribellarono aggredendo il Di Prima a fucilate. Il campiere visse poche ore, ma non volle fare i nomi degli aggressori.
La situazione dell’ordine pubblico a Marsala
Marsala allora contava 58.000 abitanti, di cui 37.000 popolavano le campagne nei dintorni della città, sparsi in una grande estensione. Ebbene, solo 9 guardie di città erano proposte alla tutela della pubblica sicurezza nel paese ed altrettanti carabinieri dovevano vigilare su un territorio che si estende per 32 chilometri. Dall’aprile dell’anno precedente il ministro aveva autorizzato la creazione di una caserma nel fondo Nuccio, a dodici chilometri dal paese presso la locanda Baiata in cui si trova il fondo del sequestrato Spanò. Era ben poca cosa, ma fino a quella data non non era stato possibile creare una nuova caserma perché la Provincia non aveva fornito i locali. Le condizioni della pubblica sicurezza, quindi, nel territorio di Marsala, in campagna come in paese, benché fossero migliori di quelle che erano negli anni precedenti, non erano certamente soddisfacenti. Tutti sapevano che le autorità, nonostante le loro capacità professionali, erano assolutamente impotenti. I malfattori diventavano perciò sempre più audaci ed i proprietari erano costretti da sé a tutelare la propria vita e i propri averi, subendo con rassegnazione le estorsioni, venendo a patti con i ricattatori d’ogni risma, contribuendo così a mantenere la mala pianta.
Sin dall’inizio le autorità avevano commesso un grave errore, quello di far accorrere da Trapani e dai comuni vicini numerosi rinforzi, pensando forse di incontrare per strada i sequestratori. Ma subito si resero conto che il dispiegamento di tutte quelle forze comprometteva la vita del sequestrato. Così i carabinieri ritornarono alle loro rispettive caserme, il maggiore dei carabinieri, il capitano, l’ispettore Scorsone e gli altri funzionari ritornarono alle loro sedi, dimostrando così una evidente impotenza. Il cav. Spanò era tenuto sequestrato in una casetta rurale della campagna nei pressi di Monte San Giuliano. A guardia fu lasciato un giovane sui 20 anni, armato di pistola che lo assicurava costantemente che nessuno voleva fargli del male e che essi tenevano solo ad ottenere dalla famiglia il denaro del riscatto. Con questo suo compagno il cav. Spanò passava le sue giornate conversando e giocando a carte. Il suo giovane compagno lo lasciava solo per pochi istanti. Per 15 giorni tenne sempre addosso la biancheria che portava al momento in cui era stato sequestrato. Al quindicesimo giorno gli portarono una camicia e un paio di mutante nuove. Quelle proprie furono lavate e stirate, e poi le indossò di nuovo.
Come fu scoperto il nascondiglio
Sin dall’inizio l’azione della P.S. fu condizionata dall’interesse della famiglia del sequestrato la quale di null’altro si preoccupava che della vita del proprio congiunto. La P.S., dal momento in cui era avvenuto il sequestro, ebbe fondati sospetti sugli autori, i quali furono tenuti d’occhio e pedinati. Furono fatti anche molte visite domiciliari, e talvolta con numerosa forza, ma sempre senza risultati. Dopo circa cinque o sei giorni, il Commissario Scorsone cominciò a fare ricerche a Monte S. Giuliano, in case vicinissime a quelle dove si trovava il sequestrato.
La svolta si ebbe in seguito a un fortunato arresto eseguito dal Commissario Scorsone il 9 marzo 1903 diede la traccia sicura per la liberazione del sequestrato. Si era saputo che la famiglia del cav. Spanò aveva sborsato 40.000 lire ai malfattori in conto del riscatto. Egli allora si stava recando a Marsala per fare nuove indagini. Alla stazione di Paceco vide salire sul treno tre individui, di cui uno era il Coppola di Monte S. Giuliano, gli altri due certi Todaro e Ballata di Paceco.. Lo Scorsone si insospettì di questi individui, che non sembravano certamente in odore di santità; si informò dal capo stazione dove fossero diretti e seppe che tutti e tre avevano preso i biglietti di terza classe per Marsala. Li tenne d’occhio e appena scesi dal treno li fece arrestare. In caserma il Coppola fece importanti dichiarazioni, fino a confessare che il sequestrato si trovava a casa sua.
La liberazione del cav. Spanò
La sera dell’8 marzo del 1903 alle ore 10,30 il delegato di P.S. Vincenzo Giannitrapani con una piccola pattuglia costituita da un gruppo di guardie in borghese, da pochi carabinieri e dalle guardie municipali circondarono la casetta che si trovava in via Mandre al n. 39. Dopo aver bussato diverse volte, visto che nessuno rispondeva, le guardie forzarono la porta. Penetrati dentro, trovarono un solo vano pieno in gran parte di paglia e provvisto di una finestra. Delusi per non aver trovato nessuno, stavano per andare via, quando sotto lo strato di paglia del pavimento si rinvenne una botola. Mentre stavano per aprirla, una voce dall’interno gridò: “Chi apre muore”. Ma le guardie per nulla intimorite, aprirono la botola e per una angusta scaletta di pietra scesero nel sotterraneo dove trovarono con grande sorpresa il sequestrato. Il malfattore che stava di guardia nel sotterraneo, Giuseppe Tilotta, ebbe la prontezza di scappare per una porticina di un vano dello sotterraneo e che immetteva all’aperto. La notte stessa il cav. Spanò venne accompagnato a Trapani con una apposita vettura. La stessa sera a Monte S. Giuliano furono tratti in arresto la madre del Coppola, la sorella di costei e i due figli della stessa.
Mentre a Monte S. Giuliano si effettuava il salvataggio del cav. Spanò, a Marsala il tenente dei carabinieri Nachucchi assieme al delegato Presti ed altri funzionari effettuavano perquisizione in casa di Antonio Bongiorno e vi trovarono una somma di lire 30.000, e non trovando il proprietario della casa traevano in arresto i suoi due figli. Nelle ore mattutine furono operati altri arresti di noti pregiudicati.
Marsala, 19 marzo 1903
Gli arresti per associazione a delinquere a Marsala nei giorni successivi alla liberazione del cav. Spanò.
Barbaro Giuseppe da Paceco Franca Ignazio da Marsala
Avaro Paolo da Paceco D’Angelo Giuseppe da Vita
Todaro Francesco da Monte S. Giuliano Zummo Vito da Paceco
Coppola Giuseppe da Maonte S. Giuliano Accardi Pietro da Marsala
D’Antoni Gaspare da Marsala Pedone Giuseppe da Vita
Accardi Melchiorre da S. Ninfa Domingo Antonio da Castellammare
D’Antoni Antonino da Marsala Domingo Giuseppe da Castellammare
La Vaccara Antonino da S. Ninfa Barone Giuseppe da Castellammare
Li Vigni Francesco da Marsala Parrinello Gioacchino da Marsala
Reccosta Antonio da Marsala Maggio Giuseppe da Marsala
Bongiorno Andrea da Marsala Pellegrino Pietro da Marsala
Napoli Calogero da Marsala Pedone Pietro da Salemi
Montalto Cosimo da Marsala Marino Carmelo da Marsala
Vaiare Gioacchino da Marsala Laudicina Francesco da Paceco
Riti Sebastiano Zerilli Vanella Salvatore di anni di
Loombardo Vito Marsala
Parrinello Giovanni
Il delegato capo di Marsala signor Presti aveva ricevuto ordini di far pedinare e sorvegliare alcuni individui che l’indomani della liberazione del cav. Spanò furono tratti in arresto. La P.S. Non era intervenuta prima perché la famiglia Spanò aveva, con ogni mezzo, implorato le autorità a ritirarsi per il momento per non compromettere la vita del sequestrato.
Dopo la liberazione del cav. Spanò
Giuseppe Tilotta, il giovane sotto la cui custodia era stato per ben 27 giorni il cav. Spanò, si costituì l’11 marzo a Monte S. Giuliano. Egli era un giovane di 20 anni. La sua fisionomia aperta lo faceva apparire piuttosto simpatico, e non aveva per niente l’aria del delinquente incallito. Un giornalista trapanese, subito dopo l’arresto, avvicinandolo per qualche minuto, riuscì a scambiare alcune parole.
Egli dichiarò che si trovava implicato in quel losco affare non per sua volontà, ma per obbedire a suo zio, il famigerato Giuseppe Coppola, il padrone della casa dove era stato nascosto il sequestrato. “Mi trovavo a lavorare nel feudo Zafferano, quando mio zio mi invitò ad andare con lui. Gli chiesi dove mi avrebbe condotto, ma non mi fu possibile saperlo allora. Ci incontrammo con sei persone delle quali nessuno era di mia conoscenza. Mi disse allora che io dovevo fare quello che lui faceva e che si sarebbe guadagnato una buona somma. Fu così che nella strada Marsala-Salemi mi trovai con gli altri a fermare il cav. Spanò, di cui ebbi la custodia arrivati a Monte S. Giuliano. In quel punto avrebbe voluto tirarsi indietro, ma ormai era troppo tardi. Non potendo fare altro, si sforzava a rendergli meno penosa la prigionia. Lo rassicurava che non gli avrebbero fatto alcun male e la sera stava con lui a giocare a carte.