Sia chiaro: la violenza di Brasilia, speculare a quella che ha morso Washington un anno fa, è esito diretto del Populismo.
Questo perché la politica demagogica si propone, oggi come ieri e l’altro ieri, attraverso una pedagogia sociale che sancisce l’assoluta precedenza della sfera individuale su quella collettiva.
Il cittadino ha esigenze. Il politico populista promette di soddisfarle. Ancor di più: insiste perché il cittadino creda che reclamare la propria soddisfazione individuale sia certamente giusto.
Questo non solo deprime, ma oltretutto distorce la natura dello Stato democratico, che tale può dirsi solo perché si assume il ruolo di mediatore fra gli interessi individuali.
***
Si osservino gli ultimi quindici anni.
Il rifiuto esteso e generalizzato della mediazione – moltiplicato in forze dopo il conclamato incasso elettorale di partiti come il Movimento 5 Stelle o Podemos, infatuati dell’utopia rousseauiana della democrazia “diretta” – ha imposto, in Occidente e non solo, un salto di livello al processo già in atto di personalizzazione dei partiti politici.
Gli apparati, in quasi tutti i partiti, si sono progressivamente assottigliati, fino sostanzialmente a scomparire dal pubblico dibattito. Sono rimasti sul terreno di gioco solo i leaders – con il loro corpo, il loro carattere, la loro storia individuale –, gli strumenti di comunicazione diretta, e i loro “popoli” di elettori.
Una sorta di piramide laica – ma a alto rischio di sacralizzazione – che pone al vertice “una faccia”, un “capo”, alla base un’umanità questuante, il tutto invischiato nell’appiccicosa e insinuante Narrazione turbo-digitalizzata che in tutti i modi tende ad annullare la distanza critica.
***
Ciò ha comportato una “Tribalizzazione” dei rapporti. È chiaro: l’aggregato sociale che immediatamente corrisponde alla polarità basilare capo/supporters non può essere altro che la Tribù.
La Tribù è verticale, basata sulla sudditanza/obbedienza/dedizione dei componenti al “capo”. Nella Tribù il “giuramento personale” al Leader permette l’accesso ai vantaggi di appartenenza: non ci ricordiamo da dove viene il Feudalesimo?
Nella Tribù l’interesse è “personale” poiché la sua struttura è “personale”.
In estensione, per la Tribù uno Stato che non risponde alle richieste “personali”, circoscritte, della Tribù stessa, è uno Stato fallito: solo burocrazia svuotata di contenuto.
Perciò lo stato diviene attaccabile. Perciò la violenza è legittimata e, a completamento della totale distorsione della democrazia, assunta a strumento “libertario”.
***
Ultimo grado di degenerazione.
Da “Violenza” per la “Libertà” a “Libertà di Violenza”.
Le Tribù che hanno violato i palazzi del potere si sono lasciate andare al vandalismo, allo scempio generalizzato, dei simboli dello Stato e anche delle molte opere d’arte esposte.
In questo vi è qualcosa che diverge, o forse addirittura oltrepassa, le idee anti-politiche di Bolsonaro e di Trump (a riguardo, la Commissione speciale ha sostanzialmente formulato l’accusa negli ultimi giorni di dicembre).
Tanto gli assalitori statunitensi quanto quelli brasiliani sono comparsi en travesti, trasfigurati. I protagonisti della scorribanda di Capitol Hill sono stati sciamani, cacciatori, riottosi incappucciati. In Brasile gli uomini si sono vestiti della bandiera nazionale.
Nel travestimento abita il desiderio di “disindividualizzazione”, di auto-sottrazione; nella condivisione di una “divisa” invece – direbbe Zimbardo – abita l’ “Effetto Lucifero” (dal nome dell’esperimento condotto nei ’70 da Philip Zimbardo, a Stanford).
Diluite la responsabilità, il senso di colpa, la remora, nell’ “uniformità”, le pulsioni distruttive possono sfogare senza controllo.
Nulla di politico si è riversato sulle giovani donne dell’As mulatas di Di Cavalcanti. Solo brutale pulsione: polluzione di rancore. Pura corporalità.
Chi ha nascosto sotto il vessillo nazionale la Ballerina di Becheret che Tribù aveva avuto, e ora lui poteva avere per sé?
Se il mondo si esaurisce poco oltre il mio ombelico…
Sebastiano Bertini
Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340