Da Sarmat a Poseidon, strumenti per morte istantanea
Un ipermoderno coltello circassiano, il Kinzhal, è la prima super-arma sguainata dalla Russia. Siglato Kh-47M2, si tratta di missile dieci volte più veloce del suono. Custodito dalla pancia di un caccia bombardiere, quando spicca il volo disegna improvvise e rapide virate, tanto irregolari da ubriacare i sistemi di calcolo delle difese Nato.
Sarmat, invece, ricopia nelle sue abominevoli dimensioni la vastità della piana sarmatica. Surrogato in silo della patria nomade e primordiale delle genti iraniche, il razzo pesa più di 200 tonnellate e supera i 35 metri di altezza. Può in un solo volo abbracciare metà del perimetro della terra. Ovviamente equipaggiabile con testate nucleari in copioso numero, è predisposto anche per i miracolistici corpi portanti Avangard: trattasi di alianti atomici, veloci perfino venti volte il suono, che a volo radente azzerano ogni possibilità di intercettazione.
Cambiamo elemento. Scendiamo negli abissi. Poseidon, in termini di onomastica, è un imprestito. Certo, Russia è terra e non mare; la guerra che sta conducendo mira primariamente alla conquista di un comodo sbocco sul mare, sempre libero dai ghiacci scabri del Mar di Kara, o del Mar dei Ciukci. Anche per questo il Nettuno siberianizzato è un drone subacqueo nucleare capace, come ha spiegato in uno scenario da Star Trek il volto demagogo di Kiselyov, di annichilire una porzione di pianeta pari alla Gran Bretagna.
Ciò che si desume dalle sbandierate tecno-belliche russe è che l’obiettivo finale del Mondo di là sia praticamente la conquista metafisica della morte istantanea. La morte totale come annullamento generalizzato della materia, senza parola e senza pensiero.
Una morte, potremmo dire, sovra-umana e quasi-numinosa. Elevazione a potenza del laico Death from Above americano; evento assoluto, senza sfumature, senza eccezioni, senza condizioni; imitazione del gesto imperscrutabile della divinità che scaglia la saetta – buona immagine da copertina per sbruffonaggini di Stato – .
Un tipo di morte che a noi occidentali, in sostanza, piace poco. Le nostre morti vogliono sempre un racconto: parole, storie, cause, fini. Questo dipende anche dalla primordiale centralità che ha il finis vitae nella nostra cultura. La sequenza profondissima e antichissima Homo/Humus/Humor attraversa la grecità tutt’altro che indenne: Omero ha sempre usato, per l’uomo, brotos – destinato a morire – e mai aner e anthropos; Platone ha scelto thnetos – il mortale. Senza questo definirsi per finitudine non sarebbe stato possibile nemmeno il pensiero cristiano. Senza morte, non si comprende nemmeno il concetto di vita.
Ne consegue che gran parte dell’esercizio intellettuale dell’Occidente si sia fondato sul desiderio di giocare “alla pari” con la morte. Dalla prima traccia d’ocra sul fondo di un’umida grotta, alla più recente risistemazione filosofica; dalla prima astrazione aritmetica scolpita a caratteri cuneiformi, ai più recenti studi sulle cellule monoclonali, alle indagini siderali sul Bosone; dalla prima selce scheggiata, all’ultimo Kinzhal supersonico; tutto questo, sempre e prima di tutto, per raggirare la morte con la memoria, per farle uno sgambetto con un blister di pillole, per darle un senso nella grande macchina entropica dell’Universo. Infine, per provocarla.
Così questa morte istantanea e totale ha un sapore di terribile ironia. Tutta questa grande corsa di uomo fabbricatore, abitatore, pensatore, inquinatore, per il nulla?
Spero sia solo sbruffonaggine. In fondo, nei sotterranei dell’Azovstal, nascosti come prede braccate, privati della luce del giorno, ridotti a mera esistenza, ci sono ancora uomini.
Sebastiano Bertini
Ora, questa morte istantanea e totale ci risulta spaventosamente assurda perché minaccia anche il nostro racconto. Minaccia ogni possibilità di elaborazione e la nostra memoria. Sancisce una scomparsa radicale che destituisce e annichilisce anche il mondo immaginato post-nucleare e post-umano che popola i racconti e i film di fantascienza.
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021.
Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.