“Ora tutto è cambiato”, “Svolta storica nei rapporti con la Russia”, “Dopo il Covid nulla sarà come prima”, eccetera eccetera…
Non c’è giornale o talk show, oppure politico, che si possa dichiarare davvero esente dalla retorica della Tabula rasa. In effetti, tutti – o quasi – siamo tentati, di fronte ai grandi movimenti della storia, dall’idea che a una grande trasformazione, ad una catastrofica distruzione, corrispondano salvazione, rinascita, rigenerazione. Una sorta di mistura fra l’apocalissi vetero testamentaria, la dialettica degli opposti che ha attraversato la letteratura e la filosofia degli antichi, il primordiale e profondo istinto di conservazione. Occidentalissimo sentire.
La metafora della Tabula, del blank slate, di provenienza empirista e settecentesca e sedimentata da tempo nella cultura dei modi di dire e delle espressioni figurate, ha chiaramente un grande potere anestetizzante. Lasciando indietro Locke, lontanissimo, in questo contesto significa ricominciare da zero: seconda chance. Perciò, anche se spesso non ci riflettiamo, è una di quelle espressioni che rivelano il nostro rapporto con il tempo, soprattutto con il futuro.
Per un certo periodo, l’Occidente ha vissuto – piuttosto problematicamente – un futuro “retroflesso”: questo è il futuro del disastro ambientale, dell’inquinamento e del riscaldamento climatico. Un futuro già perfettamente presente, delineato con grande cura da decenni di scienza. Una sorta di domani Terminator, “teletrasportato” all’indietro con tale forza da serrare in una stretta da androide di titanio l’uomo presente e le sue scelte. Opzione “responsabile”, o annullamento. Da notare: questo futuro non ha mai contemplato – nella discussione collettiva – l’idea di Tabula rasa. Le forze in campo sono forse troppo grandi, sovradimensionali rispetto all’uomo. La pacificazione utopica può avvenire solo nell’anticipazione della distruzione.
Ora, a seguito di Pandemia e di Guerra in Ucraina, questa temporalità circolare, a grande voluta, è stata bucata da quella lineare della Tabula rasa. Il nesso distruzione/rigenerazione sfreccia longitudinalmente, come un laser, alla velocità dei missili Kinzhal, antichi e modernissimi coltelli fatali. Non è difficile, è vero, rilevare un diffuso sforzo di compromesso tra le due prospettive: “Autonomia energetica dalla Russia!” ma “No centrali a carbone!”, “No centrali nucleari!”. Ma il tempo lineare vince comunque e sempre.
Il tempo lineare è, si noti, il tempo della cultura cristiana. La cultura che fa – per tutti in Occidente, credenti e non – da tavolo d’appoggio per le categorie interpretative. Dalla storia evangelica infatti si impone il rapporto consequenziale tra morte e rinascita. Rapporto che per via di secolarizzazione è arrivato a noi, solidissimo, nelle forme della “fatica formativa”, della “scelta difficile per un futuro migliore”, dell’ “eroico sacrificio”; dell’ “eroica resistenza” di un popolo e di un Presidente.
La dimestichezza che abbiamo con questa linearità ascensionale è anche il motivo per cui ci accomodiamo senza troppi urti nei proclami del “Tutto cambierà!”. È cioè una dimensione confacente ai sottostrati della nostra etica più convenzionale, anche quando la realtà sembra essere assolutamente contraddittoria: tutta l’Unione europea non vede l’ora di riprendere a commerciare con la Russia; la globalizzazione economica non tollera la riduzione della sua rete; quindi è ragionevole temere che, in termini di poteri “reali”, “pochissimo cambierà”.
Il fatto poi che l’impostazione dell’escatologia cristiana sia decisamente individualista, ci spiega perché di fronte alla distruzione pandemica tanta sia stata la difficoltà dei cittadini a pensare che la rigenerazione dovesse passare per un’etica collettiva. Il fenomeno No Vax, come le reazioni isteriche al Lockdown, sono limpidissima testimonianza di una diffusa incapacità di pensare oltre sé stessi, di cedere una parte della propria libertà all’essere comunitario.
Così, anche il “Tutto è cambiato”, rischia di essere, impietosamente, demagogia.
Sebastiano Bertini
Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.
Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340