Processo Perricone, attesa per l’interrogatorio dell’ex vicesindaco di Alcamo

Linda Ferrara

Processo Perricone, attesa per l’interrogatorio dell’ex vicesindaco di Alcamo

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domenica 19 Luglio 2020 - 17:43

Riprende il procedimento giudiziario a carico del politico alcamese. L’inchiesta “Affari Sporchi” della Procura di Trapani del 2016 è nata a seguito del sequestro del cantiere del porto di Castellammare del Golfo.

Riprenderà lunedì mattina, presso il tribunale di Trapani, l’udienza del processo a carico di Pasquale Perricone ed altri tre soggetti: Maria Lucia Perricone, cugina del politico alcamese, Marianna Cottone, legale rappresentante della società Promosud srl, ed Emanuele Asta, funzionario del centro per l’impiego di Alcamo. Gli imputati sono accusati di vari reati, tra cui: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato e della Ue, corruzione. Il processo è scaturito dall’inchiesta “Affari Sporchi” della Procura di Trapani del 2016. L’indagine dei magistrati trapanesi è nata, nello specifico, a seguito del sequestro del cantiere del porto di Castellammare del Golfo, operato dalle fiamme gialle nel 2010 per il reato di frode in pubbliche forniture. I controlli della guardia di finanza di Trapani e di Alcamo si sono, poi, concentrati sulla società consortile Nettuno, fallita nel 2011. La società venne costituita nel 2007 come unico centro di imputazione dei costi relativi all’esecuzione delle opere dalle imprese costituenti l’Ati (associazione temporanea di imprese) che, nel 2005, si era aggiudicata, per circa 23 milioni di euro, la gara bandita dal Comune di Castellammare del Golfo. Per gli investigatori, dietro agli eventi che hanno portato al fallimento della società vi sarebbe l’esecuzione del contratto d’appalto per affidare i lavori di ampliamento del porto di Castellammare. A suddetta gara era pervenuta infatti una sola offerta, quella della citata Ati appunto, formata dalla società capofila, la Coveco, e dalle ditte Comesi-Taomar e Cogem. La capogruppo, poi, aveva assegnato l’esecuzione dei lavori ad una sua associata, la Cea (secondo l’accusa occultamente gestita dal Perricone). Sarebbe stato proprio l’ex vicesindaco di Alcamo a spingere per tale associazione, avvenuta nel 2004, in vista dell’appalto. Dunque, la Nettuno, una volta costituita, assumeva le obbligazioni derivanti dai rapporti di lavoro con i fornitori e le maestranze delle opere da realizzare, alle quali dovevano provvedere le tre società consorziate dopo il pagamento degli stati avanzamento lavori (SAL), da parte della stazione appaltante (la Regione Sicilia) alla società capogruppo, e mediante il corretto sistema di ribaltamento dei costi. Le somme dei pagamenti dei Sal venivano riversate puntualmente dalla Coveco sulle consorziate e previa fatturazione (ad eccezione del 13° ed ultimo Sal emesso nell’anno del sequestro). Secondo la Procura, però, tale sistema avrebbe funzionato fino al 2008, dal momento che suddette somme non sarebbero state a loro volta versate alla Nettuno per far fronte al finanziamento dei successivi Sal e per onorare le obbligazioni. Inoltre, la Nettuno dal 2009 avrebbe omesso di fatturare i costi sostenuti ribaltandoli sulle consorziate e non avrebbe esperito le azioni di tutela volte al recupero dei crediti. Detta operazione economico finanziaria, per la Procura di Trapani, sarebbe stata pianificata appositamente, portando al fallimento della Nettuno e alla liquidazione coatta amministrativa della Cea.

Prima del lockdown, la pubblica accusa, rappresentata dal sostituto procuratore, la dottoressa Rossana Penna, ha terminato il controesame del consulente contabile della difesa, il signor Giuseppe Stabile, avente ad oggetto la sua relazione sull’analisi della situazione economica-finanziaria delle imprese facenti parte dell’Ati. L’interrogatorio della Procura seguiva infatti quello effettuato dall’avvocato Giuseppe Junior Ferro, legale di Maria Lucia Perricone. Nel corso di quest’ultimo, il teste ha spiegato che il costo dei lavori eseguiti dalle citate ditte, fino al momento del sequestro, sarebbe ammontato a 19 milioni di euro. Dunque, il professionista si è soffermato sulle garanzie per l’acquisto delle palancole che sarebbero state fornite dalla Cea e da Cogem. Coveco. Secondo il suo racconto, la prima impresa sarebbe intervenuta solamente per pagare la quota della Comesi che è uscita di scena dall’appalto dopo il secondo Sal. I costi sostenuti da quest’ultima sarebbero poi stati ribaltati sulle altre due società. Nel 2008, così la Cea è passata dal 50% circa all’80% delle quote, poiché quella della Comesi-Taomar, surrogata in seguito dalla Coveco per inadempienza, le è stata trasferita. La Coveco inoltre avrebbe trattenuto gli oneri di capofilaggio (200 mila euro) dai soldi della stazione appaltante e ribaltato il resto alle altre associate. Per il consulente, quindi, Coveco sarebbe stato l’unico soggetto ad avere avuto un ricavo dall’appalto. Anche il pagamento delle polizze (600 mila euro circa), sostenuto dalla capogruppo, sarebbe stato in seguito fatturato alle altre imprese. Inoltre, alla data del sequestro, il 26 maggio 2010, la Cea avrebbe pagato 70 mila euro circa di debiti alla Nettuno, relativi all’anno 2009. Invece, la Cogem avrebbe ribaltato i costi con una fattura del 2010. Per il teste, comunque, la Nettuno avrebbe potuto esperire un’azione di recupero nei confronti delle consorziate. Cosa che non ha fatto. Inoltre, l’effettiva insolvenza della Cea si sarebbe manifestata a dicembre del 2010, quando le vennero bloccati tutti i lavori, anche in precedenza assegnati, da parte di Coveco. A quella data, la capogruppo non avrebbe provveduto delle somme dovute alla Cea e neanche alla ricognizione delle reciproche partite di credito e debito. Infatti, la collaborazione tra la Cea e la Coveco riguardava anche altri appalti, oltre quello per i lavori del porto di Castellammare del Golfo. Due anni dopo il sequestro, il commissario liquidatore della Cea, il dottore Pasquale Russo (coinvolto in un filone parallelo dell’inchiesta della magistratura), redigeva una ricognizione di detto rapporto economico: 2 milioni e 400 mila euro erano i crediti che Cea avrebbe vantato da Coveco. Dal punto di vista del teste, ciò avrebbe avuto delle ricadute sulla situazione economica dell’associata. Revocati i lavori alla Cea, la capogruppo poi li aveva assegnati ad un’altra cooperativa, la Atlanta. Altro argomento affrontato durante l’esame della difesa del teste è stato il costo delle palancole, circa 2 milioni di euro, a cui Cea partecipò sborsando 1 milione e 700 mila euro. Successivamente si è passati a trattare il tema delle migliorie previste dall’appalto (circa 4 milioni) che dovevano essere effettuate progressivamente all’andamento dei lavori e potevano essere anticipate in relazione al cronoprogramma previsto. Per il teste le imprese non avrebbero ricavato un utile dai lavori del porto di Castellammare, ma una perdita complessiva di 3 milioni di euro, di cui l’80% è stata quella di Cea. Secondo il consulente contabile, se non fossero stati revocati i lavori, Cea non avrebbe subito importanti perdite. Inoltre, il signor Stabile ha dichiarato di avere riscontrato soltanto un’anomalia nel saldo di cassa della società: circa 30 mila euro, da ricondurre all’entrata in vigore dell’euro, riportata per errore nei mastrini degli anni successivi. Altro argomento affrontato è stato quello dei prelievi in contanti effettuati dalla Cea, tra il 2008 e il 2010, presso la banca Don Rizzo: 700 mila euro circa. Nella sua relazione, il consulente ha verificato che tutti i prelievi sarebbero stati, al contrario, 1 milione di euro circa e destinati a finalità aziendali. Relativamente alla questione dei requisiti della Cea per le certificazioni Soa (necessari per appalti di opere pubbliche ), il teste ha sostenuto di non avere riscontrato cespiti (beni materiali e immateriali) attivi nel bilancio al 31 dicembre 2010. Inoltre, dalla perizia affidata nel 2011 ad un tecnico dal liquidatore della società, detti cespiti non risulterebbero vendibili, in quanto non avrebbero avuto alcun valore. Il commissario liquidatore avrebbe inoltre contestato a Coveco 700 mila euro di somme non date alla Cea. Nel 2012, il dottore Russo, avrebbe poi stipulato un accordo con la società Magara, amministrata da Mary Perricone, per il recupero di tali crediti. Con la ricognizione eseguita da detta società, sarebbero stati individuati 2 milioni e 400 mila euro, reclamate dal liquidatore di Cea nei confronti della Coveco. Nel 2014, Coveco avrebbe poi effettuato una proposta transattiva per 1 milione e 400 mila euro. Secondo la ricostruzione del teste della difesa, dunque, la Cea sarebbe creditrice della Coveco. Sempre nel 2014, un’altra società, la Imex Italia, amministrata da Pasquale Perricone, avrebbe fatto invece una proposta di acquisto, poi ritirata.

Come suddetto, dopo, si è svolto il controesame del pubblico ministero, la dottoressa Rossana Penna, titolare dell’inchiesta. Al teste il sostituto procuratore ha chiesto se il costo dell’appalto rispetto all’importo della base d’asta fosse lievitato nel tempo. Il consulente ha precisato che è avvenuta una variante suppletiva per un ammontare di 800 mila euro circa. Al netto delle migliorie, in capo alle imprese, l’Ati avrebbe comunque incassato circa 18 milioni di euro. Inoltre, è stato domandato al signor Stabile se l’acquisto delle palancole potesse essere considerato un rischio d’impresa. Anche in questo caso il teste ha risposto in maniera positiva. Invitato a spiegare l’iter del pagamento dei Sal, il consulente contabile ha affermato che uno dei pagamenti riguardava il rapporto stazione appaltante-capogruppo, caratterizzato anche da tempistiche diverse, come quelle relative al caso delle palancole; l’altro, concerneva la relazione tra le imprese dell’Ati e la Nettuno. Inoltre, specialmente per quanto riguarda i primi due Sal, la Cea avrebbe riversato alla Nettuno molto di più di quanto ricevuto. Tredici poi sono stati i Sal fatturati da Coveco per 13 milioni. Come ha rilevato il pubblico ministero sulla relazione del consulente di parte, vi sarebbe una coincidenza tra l’importo emesso in fatture dalla capogruppo a Cea, Cogem e Comesi e quello della Coveco alla stazione appaltante. Secondo quanto riportato dal teste Stabile, Cea si ritrovava spesso con una fattura emessa e una ricevuta da Coveco, la quale effettuava delle detrazioni in capo alla stessa. Per il teste, sarebbero da considerare illegittime le trattenute effettuate dalla stazione appaltante. Nessuna contestazione comunque è stata mai fatta per le detrazioni. L’unica contestazione riconosciuta sarebbe stata quella realizzata a fine 2010 e relativa alla mancata erogazione del 13° Sal da parte di Coveco a Cea e Cogem. Il pubblico ministero ha in seguito chiesto al consulente se fosse a conoscenza dello sconto di 700 mila euro a Cea effettuato dalla banca Unicredit, e relativo al 13° Sal. Infatti, secondo l’accusa, quest’ultimo sarebbe stato incassato per l’80% da Cea e non sarebbe stato riversato come dovuto alla Nettuno. A fronte degli incassi di Coveco dalla stazione appaltante per 13 milioni di euro, Cea e Cogem ricevevano dalla capogruppo 11 milioni e 700 mila euro circa. Quindi, una differenza di 1 milione e 300 mila euro. Questa differenza, secondo il teste, deriverebbe in parte dalla trattenuta della Coveco per gli oneri di capofilaggio previsti nel contratto (600 mila euro). La dottoressa Penna ha successivamente domandato al consulente quali crediti stava compensando Coveco nel 2010 nei confronti della Cea, trattenendo 700 mila euro. E ciò a causa del rapporto crediti-debiti tra le due imprese. Per tale motivo, si è esaminata la proposta transattiva di Coveco di 1 milione e 400 mila euro verso l’associata. In particolare, per l’accusa, accanto a questa operazione i cugini Perricone avrebbero tentato di far acquisire da parte di Magara srl, amministrata da Mary Perricone, il relativo credito vantato da Cea nei confronti di Coveco, facendo pressione al curatore della società: Pasquale Russo. Il Pm ha ricordato che la proposta è stata rinvenuta sul computer del Perricone in occasione delle perquisizioni. Poi, è stato affrontato il tema degli interessi del conto corrente in proprio, dal 2004 al 2010, mediante il quale la Coveco anticipava delle somme alla Cea, pari al 7%. Dunque, 1 milione e 400 mila euro. Succesivamente, il pubblico ministero ha sottoposto al teste la sentenza del 12 giugno 2018 in cui si dimostra la responsabilità degli amministratori della Nettuno (in maggioranza in rappresentanza della Cea). Per il consulente, il fatto che la Cea sia entrata a far parte della Nettuno costituirebbe un’anomalia, in quanto la responsabilità contrattuale sarebbe sempre a capo alle altre imprese dell’Ati.

L’ultima parte dell’interrogatorio del sostituto procuratore si è concentrata sui rapporti tra Cea, Comesi e la Nettuno. Innanzitutto, per il consulente, il costo dell’opera pubblica sarebbe stato sostenuto in buona parte dalla seconda società. La prima relazione, quella tra Cea e Comesi, sarebbe anche caratterizzata dal fatto che Rosario Agnello (testa di legno di Perricone per la Procura) si trovasse in una situazione di conflitto interessi, rivestendo la carica di amministratore in entrambe le società. E, dunque, risulta difficile stabilire quali interessi difendesse lo stesso. Inoltre, la Cea avrebbe fatto ricorso alle anticipazioni prima di incassare i Sal e, poi, avrebbe riversato tali oneri su Nettuno, come se fosse stata creditrice di quest’ultima. Per il teste, Cea avrebbe invece pagato le fatture di acconto e chiuso quasi il debito con la Nettuno. Il pubblico ministero ha chiesto in seguito come mai Cea, a fronte dei pagamenti piccoli, si facesse dare anticipazioni di fatture dalla banca (in totale 165 operazioni). Delucidazioni sono state chieste anche sull’oggetto delle fatture del 2008 e del 2010 emesse da Nettuno a Comesi, visto che quest’ultima aveva ricevuto da Coveco 400 mila euro, riversate a Nettuno, ed era uscita già dall’appalto. Per il teste l’oggetto sarebbe riconducibile alla questione del pontone. Comesi avrebbe chiesto il pagamento, ma non è mai stata fatta un’azione di responsabilità. Per quanto riguarda la struttura economica finanziaria, al momento dell’assunzione dell’appalto, il consulente contabile ha dichiarato di non aver visionato i bilanci dal 2004 al 2009 della Cea e nemmeno esaminato la relazione della Lega delle Cooperativa sulla liquidazione coatta amministrativa della società, così come la richiesta all’Assessorato regionale. Infine, il teste, rispondendo al pubblico ministero su eventuali ruoli pubblici rivestiti, ha precisato di essere stato consigliere comunale ad Alcamo. In quel momento la città era amministrata dal dottore Sebastiano Boventre, e all’interno della sua giunta Pasquale Perricone ricopriva la carica di vicesindaco e assessore all’Urbanistica. Domani, per l’appunto, lo storico esponente del PSI alcamese verrà interrogato dal pubblico ministero.

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