Un paio di riflessioni sulla crisi italiana

Vincenzo Figlioli

Marsala

Un paio di riflessioni sulla crisi italiana

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martedì 29 Maggio 2018 - 06:40

Per una volta, la stracitata massima di Ennio Flaiano (“La situazione è grave, ma non è seria”) mal si adatta alle giornate che sta vivendo l’Italia. Dopo la rinuncia di Conte e lo scontro istituzionale tra il Presidente Sergio Mattarella e i leader di Lega e M5S, la situazione è diventata non soltanto molto grave, ma anche molto seria. La sensazione è che qualsiasi cosa accada, l’Italia farà una fatica enorme a uscire dal pantano in cui si è cacciata, evidentemente frutto di anni e anni di errori politici che hanno alimentato un sentimento di disaffezione e rabbia dei cittadini nei confronti dei partiti tradizionali che non viene ancora preso adeguatamente sul serio e che ha contribuito all’affermazione di proposte politiche di dubbia sostenibilità democratica. Ora dopo ora, ogni considerazione rischia di diventare obsoleta di fronte alla rapida successione di colpi di scena a cui stiamo assistendo. Un paio di considerazioni, però, mi sento di farle, sperando possano contribuire a mettere un po’ d’ordine nella confusione di queste giornate.

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Il problema non è se Mattarella abbia fatto bene o male a porre il veto su Savona. Il problema è che se due leader politici si presentano dal Capo dello Stato dicendogli “o fai come diciamo o salta tutto” mettono in atto un ricatto. E un Capo dello Stato non potrà mai accettare un ricatto. Berlusconi, personalità dall’ego notoriamente smisurato, fu protagonista di ripetuti conflitti con i Presidenti della Repubblica sulle nomine dei ministri. Ma sapeva bene che se voleva governare non poteva irrigidirsi di fronte al “no” di Scalfaro a Previti (inizialmente indicato come ministro della giustizia nel ’94) o di Ciampi a Maroni (stesso incarico proposto nel 2001). Lo sapevano bene anche Di Maio, Salvini e i loro superiori, proprio per questo occorre riconoscere che lo hanno fatto coscientemente. E’ chiaro a tutti che Salvini (furbo e pericoloso oltre ogni previsione) ha imbastito questa commedia nella convinzione di poter velocemente passare all’incasso da un punto di vista elettorale. Meno chiara appare la strategia di Di Maio (o dei suoi superiori) che ben dovrebbe capire come il Movimento sia uscito molto indebolito da questa vicenda e che tanti elettori di sinistra che hanno votato i 5 Stelle (soprattutto al Sud) con ben altre prospettive, difficilmente lo rifarebbero dopo aver visto i pentastellati pronti a governare con la Lega.

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L’Italia è un Paese libero e democratico. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita entro le forme e i limiti previsti dalla Costituzione. Tra questi, ci sono quelli legati alla possibilità (prevista dall’articolo 11) di cedere quote di sovranità nell’ambito della propria partecipazione a organismi internazionali che mettono assieme altri Stati per finalità condivise. Significa che durante la Prima Repubblica, difficilmente un Pci vittorioso alle urne avrebbe potuto decidere, di punto in bianco, la fuoriuscita dell’Italia dalla Nato per aderire al Patto di Varsavia. Proprio per questo, andava bene un po’ a tutti che governasse la Dc. Al massimo, si tentava di insidiarla elettoralmente, in modo da condizionare le scelte del governo e spostarne l’asse politico più a sinistra. Allo stesso modo, oggi, la nostra sovranità non può oltrepassare la cornice di una scelta di campo che vede l’Italia socio fondatore dell’Unione Europea. Un’Unione che sarà contestabile da tanti punti di vista e che ha realizzato solo in parte il grande sogno di Rossi e Spinelli, ma che resta da tanti punti di vista una preziosa garanzia che faremmo bene a tenerci stretta se solo avessimo un po’ di memoria su quello sono stati i secolo scorsi, insanguinati da conflitti e devastazioni che hanno visto combattersi quegli Stati che adesso, tra contraddizioni e difficoltà, hanno deciso di condividere un progetto comune. L’Unione va ridiscussa da un punto di vista economico e politico. Ma dall’interno. Se poi un partito vuole uscire dall’Euro, ha il dovere di proporlo nel proprio programma elettorale e farne un cavallo di battaglia da sottoporre al giudizio dei cittadini. Ma non può assolutamente travisare il mandato ricevuto come se si trattasse di un jolly, buono per qualsiasi tipo di strategia. Sarebbe poi tutto da dimostrare che abbia più a cuore l’interesse nazionale una proposta di abbandono dell’Unione (magari aprendo le strade al colonialismo russo di Putin o a quello americano di Trump) piuttosto che l’idea di proseguire la strada tracciata con Francia e Germania.

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La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buonanotte, e buona fortuna. (dal Giulio Cesare di William Shakespeare)

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