Non votano. O se votano, puntano sul volto pulito e rassicurante di Nello Musumeci o sulla rottura con il passato incarnata da Giancarlo Cancelleri e dal Movimento 5 Stelle. Per il resto c’è poco spazio, almeno per ora. Questo l’identikit elettorale dei siciliani del 2017. Un popolo che 5 anni fa aveva provato a dare fiducia al centrosinistra dopo aver visto la barca affondare a causa del mal governo di Cuffaro e Lombardo. Quella fiducia però è stata tradita dal Pd che non ha mai sostenuto davvero Rosario Crocetta, e dallo stesso presidente che è finito stritolato dai suoi infiniti contorsionismi dialettici e da una girandola di assessori, da Franco Battiato ad Aurora Notarianni, che avrebbe fatto venire il mal di mare anche al timoniere più navigato.
I siciliani sono arrivati stremati alla fine di questo quinquennio, consapevoli che l’uomo della rivoluzione li aveva portati, con i suoi incerti alleati, ad alimentare persino un inimmaginabile rimpianto per i governi degli anni precedenti, nonostante i buchi di bilancio e le indagini per mafia. Hanno scelto Musumeci, che con un’indovinata definizione il giornalista Francesco Merlo ha ribattezzato “il fascista perbene”. Sfugge la ragione che ha portato uno degli uomini migliori della destra siciliana ad allearsi con i cuffariani e Gianfranco Miccichè dopo averli a lungo combattuti. Oggi vince la sua storia cristallina, anche se il suo trionfo personale non è stato accompagnato da un risultato analogo della sua lista “Diventerà Bellissima”. Il rischio è che Musumeci possa ritrovarsi a fare i conti, un po’ come è capitato a Crocetta, con un’Assemblea Regionale poco incline ai suoi indirizzi. Senza contare che le frizioni con Armao e Miccichè o gli appettiti dei cuffariani, sopiti a stento durante la campagna elettorale, potrebbero tornare d’attualità nelle prossime ore, non appena il neopresidente dovrà presentare la sua compagine assessoriale. A dargli una mano, magari, potrebbero arrivare alcuni parlamentari di centrosinistra, specie se il “Rosatellum” dovesse restituire a livello nazionale uno scenario senza vincitori, determinando l’ennesimo governo di larghe intese con Forza Italia e Pd.
Dall’altra parte, il Movimento 5 Stelle si ritrova a fare i conti con una sconfitta che fino ad agosto sembrava impensabile: le fratture dei due schieramenti avevano alimentato concreti sogni di gloria per i pentastellati che improvvisamente si sono ritrovati di fronte un centrodestra ricompattato e un candidato credibile come Musumeci con cui fare i conti. Ma probabilmente il Movimento 5 Stelle ha perso le regionali a Palermo, dove il gruppo storico dei pentastellati è stato decapitato da inchieste giudiziarie e faide interne. Resta l’effimera soddisfazione del primato tra le liste, ma è un risultato che interessa più Roma che la Sicilia, in vista delle prossime politiche.
Nel Pd è tempo di una seria riflessione sull’occasione perduta in questi anni e sull’urgenza di rinnovare una classe dirigente (da Faraone a Raciti, passando per Cracolici, Crocetta e persino Orlando) che non ne ha indovinata una. Chi ha a cuore le sorti di questo partito dovrebbe attuare, stavolta davvero, una rottamazione radicale, mettendo alla porta chi in questi anni ha ridotto il partito erede del patrimonio storico di Pio La Torre e Piersanti Mattarella a un’indecente accozzaglia di trasformisti d’ogni sorta, mortificando le potenzialità di tanti dirigenti e iscritti di valore, che sono stati confinati nelle retrovie. Depurato il partito da chi ha spalancato le porte a uomini e donne (come Paolo Ruggirello, Alice Anselmo e Luca Sammartino) che nulla hanno a che fare con la storia del centrosinistra o ad alleanze innaturali (ed elettoralmente inutili) come quella con Angelino Alfano, si dovrà necessariamente ricucire con quella sinistra che torna adesso all’Ars e che è riuscita a ritrovare un contenitore unitaria grazie al lavoro di tessitura condotto da Ottavio Navarra e Claudio Fava. Anche lì, però, è arrivato il tempo di un ricambio generazionale, capace di ridare slancio e credibilità a un’area politica che troppo spesso è apparsa ai suoi elettori litigiosa e inconcludente.
L’auspicio (ma su questo è difficile restare ottimisti) è che questa tornata elettorale non sia servita solo a rideterminare leadership, candidature e strategie per le elezioni politiche che si terranno all’inizio del 2018. Il governo della Sicilia è un affare terribilmente serio, sia dagli scranni della maggioranza che da quelli dell’opposizione. Ridurlo a un aperitivo di un pasto completo da consumarsi nei prossimi mesi sarebbe l’ennesima beffa a danno di una terra che ha l’urgenza di diventare una priorità nazionale.