Federica Pellegrino porta al Salone del Libro di Torino il progetto FedeDiceCose. “Le favole trasformano il nostro sguardo sul mondo”

Vincenzo Figlioli

Federica Pellegrino porta al Salone del Libro di Torino il progetto FedeDiceCose. “Le favole trasformano il nostro sguardo sul mondo”

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domenica 14 Maggio 2017 - 11:51

Spazio espressivo, progetto educativo, luogo virtuale di racconto e narrazione. FedeDiceCose nasce dalla creatività di Federica Pellegrino. La 31enne attrice marsalese, formatasi alla Scuola di Teatro diretta da Michele Perriera, conferma con quest’esperienza la propria volontà di puntare su un percorso artistico personale che guarda al di là dei contesti più consueti, coniugando la formazione teatrale con la passione per le narrazioni popolari e la poesia.

Da anni lontana dai palcoscenici della sua città natale (l’ultima volta, nel 2012, fu protagonista de “La poesia fa male” di Francesco Vinci nella rassegna estiva del Baluardo Velasco) il prossimo 18 maggio parteciperà – insieme alla Camera di Commercio di Torino e alla community Nilab – alla XXX edizione del Salone Internazionale del libro. Nell’ambito del prestigioso evento dedicato all’editoria, Federica Pellegrino esporrà la sua idea imprenditoriale che mira alla creazione di una start-up culturale creativa.

Come nasce questo progetto?

Nasce dall’urgenza di dire e raccontare ma soprattutto dalla voglia di far incontrare e mettere in connessione tradizione e tecnologia, prendendo il meglio dell’una e dell’altra.

Che obiettivo ti sei posta con FedeDiceCose?

Il 18 maggio sarò al Salone Internazionale del Libro per presentare la mia idea imprenditoriale di start up culturale e creativa insieme alla Camera di Commercio di Torino. Voglio andare in giro per le regioni italiane a intervistare tutti i vecchi centenari per farmi raccontare le loro storie, voglio far incontrare attraverso lo schermo vecchi e bambini, voglio far conoscere a tutti le professioni dell’arte. Mia nonna diceva sempre che se non realizzi te stesso dai 30 ai 40, poi “un si né runco né anciddra”. Ci sto provando con tutta me stessa.

Qual è il tuo rapporto con le fiabe?

Sono molto fortunata perché ho vissuto un’infanzia veramente felice: nonna e mamma mi hanno raccontato molte storie da piccola e tramandato dei racconti orali della tradizione, senza i quali molto probabilmente non sarei io. Grazie alle fiabe ho sviluppato un bagaglio di immaginazione che mi ha accompagnato fin qui e che in tanti casi mi ha salvato la vita nei periodi più bui della mia esistenza.

Nei video realizzati finora trovano spazio fiabe molto antiche e altre più moderne. Come avviene la scelta?

La mia ricerca è puramente istintuale, non c’è attualmente nessun tipo di lavoro filologico. Siamo talmente abituati a un procedere logico-razionale che ci sembra assurdo possano esistere altre metodologie. Potrei semplicisticamente dire che parto da me e da quello che mi emoziona o mi fa sorridere. Padroneggiare l’intuito non è per niente semplice, è un lavoro difficile e costante che richiede una centratura e un ascolto quotidiani.

Cosa rende ancora le favole una materia affascinante per i giovanissimi nativi digitali, abituati fin dalla più tenera età a navigare autonomamente sul web?

Le favole sono affascinanti perché sono universali, archetipiche, perché ci fanno sembrare tutti uguali di fronte agli altri, perché stimolano l’immaginazione e ci invitano a riflettere sul bene e sul male. Perché trasformano il nostro sguardo sul mondo e ci invitano ad avere più punti vista.

Nei nostri tempi si è perso un po’ il senso del racconto. Eppure, non molti anni fa, le nonne riuscivano ancora ad affascinare i propri nipoti con narrazioni popolari che a distanza di tempo conservano intatto il loro fascino…

Non si è perso, è solo cambiato. La dimensione del racconto non morirà mai: si evolveranno sicuramente le modalità dei linguaggi e i codici di comunicazione (vedi youtube o facebook dove ognuno ormai è diventato narratore di se stesso con una microcomunità virtuale di riferimento) ma i giovani e i meno giovani, sentiranno sempre l’urgenza di riunirsi per ascoltare qualcuno seduti a una tavola, davanti a un fuoco o davanti a uno schermo.

Qualche giorno fa ero sul tram e un gruppo di adolescenti era in semicerchio davanti all’IPhone di uno di loro che mostrava il video di un comico famoso che personalmente non mi faceva ridere per niente. Usava però un linguaggio che li attraeva tantissimo e li faceva divertire e ridere a crepapelle. Ho trovato molto commovente questa scena rituale 2.0: non tutti i comici vengono per nuocere.

Sul tuo blog scrivi che i bambini salveranno il mondo. Ci riusciranno nonostante gli adulti?

I bambini sono molto più intelligenti degli adulti. Vedono più colori, giocano e pensano poco perché vivono solo il presente. Credo basti questo.

Tra studio e lavoro, fai parte di quella generazione di giovani siciliani di talento che hanno scelto di fare le valigie e andare altrove. Che rapporto hai conservato con le tue origini?

Un detto popolare bulgaro impronunciabile che ho da poco scoperto recita: “Ogni pietra pesa al suo posto”. Marsala ma soprattutto Contrada Birgi Nivaloro mi hanno dato tutto quello che mi serve per essere come sono ora. Mi hanno dato tutti gli ‘oggetti magici della fiabe’ che mi servono per andare avanti nella vita: tra cui il teatro (che è la mia lingua madre) e la poesia.

Quando torno a casa cambia l’odore della mia pelle e il colore dei miei occhi e avendo la possibilità di esprimermi in dialetto mi sembra di acquistare più valore. Tutte le volte ritorno, rinasco e rifuggo con la consapevolezza che non potrò portarmi il mio mare in tasca.

Il risvolto della medaglia è che fin quando si continuerà a vedere l’arte come intrattenimento o spettacolo, fin quando non si riconoscerà che un attore, un musicista, un pittore, potranno avere stessa dignità di un calzolaio, di un ingegnere o di un avvocato resteremo indietro anni luce. A Marsala come in Italia, c’è tanto lavoro educativo da fare in questo senso e io in questo momento ho ancora bisogno di vedere e di correre altrove.

Che idea ti sei fatta, a distanza, dei recenti avvenimenti che si sono verificati a Marsala sul fronte delle politiche culturali, a partire dalla nomina a direttore artistico dei teatri di Moni Ovadia?

C’era una volta un famoso ebreo che sbarcò a Marsala e disse: costruiamo un grande grattacielo di 100 piani per osservare la città dall’alto! E così fu realizzata la grande opera. Pochi giorni dopo un contadino passò di lì e disse: iddro ci costruìo un palazzo. Eo ‘n casa mia c’haio un aivvulo. E u panorama, si vogghio, mu talìo u stesso riddr’ancapo.

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