Ci sono andate di volta in volta tutte le autorità, italiane ed estere, a parlare o a testimoniare il loro impegno a favore dei migranti sbarcati. Ci riferiamo all’Isola di Lampedusa. Premier italiani e stranieri, organizzazioni non profit, la chiesa cattolica con il suo Massimo esponente: tutti a dire e riaffermare che Lampedusa non va lasciata sola e che occorre aiutare non solo chi sbarca, ma anche chi ci vive e vuole rimanerci: i lampedusani. Nessun investimento produttivo nel frattempo è stato fatto dal governo (meglio dire dai tanti governi che si sono succeduti) per evitare che i giovani dell’Isola vadano a cercare lavoro altrove. Ora tra qualche settimana in occasione della consegna dei premi Oscar, l’isola sarà al centro dell’attenzione del mondo intero. Il documentario “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi girato a Lampedusa è candidato, nell’apposita categoria, a ricevere l’ambito riconoscimento. Noi tifiamo per questa opera che ha come co-protagonista la tragedia degli sbarchi. Speriamo che ce la faccia. Ma l’isola è anche altro. Seguiamo una vicenda ormai da tempo e oggi abbiamo avvertito la “necessità” di raccontarla anche a voi, in queste nostre note. Il ministero della sanità ha da tempo deciso la chiusura dei reparti di maternità che registrano meno di 500 nascite l’anno. Inutile che affrontiamo la situazione generale. Il mondo sanitario e quello politico sono divisi. I sindaci capeggiano le istanze di quanti, tra le gestanti, vorrebbero partorire nell’ospedale della loro città. Il mondo sanitario, con alcuni medici in testa, sostiene che nel settore si acquisiscono esperienze importanti anche in relazione al numero elevato di parti a cui si assiste. E nella discussione sono entrate anche parole importanti come “sicurezza”, “tanti bambini nascono ancora in centri nascita non adeguati”, mentre tra dagli “oppositori” si è risposto che per secoli le donne hanno partorito a casa. Non sappiamo chi ha ragione. Hanno ragione sicuramente le partorienti di Lampedusa. La città che accoglie le migranti incinte e le fa giustamente partorire sul luogo, se necessario, non arriva a 500 parti l’anno e quindi le lampedusane vanno negli ospedali di Palermo. Fin qui nulla di diverso, le donne isolane, l’amministrazione comunale che guarda caso è guidata da una sindaca donna, protesta, i medici dicono che va bene così. E allora che c’è di diverso? Non solo c’è tanto di diverso ma la politica, in questo caso quella regionale, deve vergognarsi. Le donne di Lampedusa che devono partorire si recano a Palermo: ma a loro spese. Sia di trasferimento che di soggiorno. E ora aspettiamo l’Oscar e vediamo chi deve mettersi l’eventuale fregio al petto.
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