“Non smettete mai di lottare” ha detto una sconfitta Hilary Clinton alle donne elettrici, dopo che ad avere la meglio, alla presidenza degli Stati Uniti, è stato Trump. Al di là della retorica e del fatto che evidentemente neanche le donne americane hanno creduto nel suo progetto e nella sua persona, la frase ha più di un senso. Nel 2016 non dovremmo parlare di tutela dei diritti delle donne. Probabilmente perchè credevamo che tutto quello che fu fatto per noi dalle suffragette nei primi anni del secolo, dai movimenti femministi degli anni ’60 e infine dalle femen oggi, avesse portato le donne alla loro piena affermazione. Ad uscire fuori da una realtà patriarcale. Ma non è così. Oggi si parla di femminicidio, di violenza all’interno delle mura domestiche. La donna è vittima degli abusi del marito, del padre, del fratello, del fidanzato, finendo per essere inghiottita in un limbo da cui spesso non ne esce viva. In altre parti del mondo viene uccisa se si rifiuta a 11 anni di sposare un uomo di 50 o se non vuole portare il burqa. Una mentalità, purtroppo, che si deve constatare a partire dalla scuola, dal rapporto uomo-donna che nasce tra i banchi. E sul lavoro la sorte non è migliore: viene rilegata a ruoli sottopagati e in nero, piegandosi alle direttive o “volontà” del proprio capo. Non stiamo parlando di realtà lontane, ma più vicine a noi di quanto si possa pensare.
Ecco perchè fenomeni come l’eurodeputata Licia Ronzulli che allatta e porta la sua bambina al Parlamento Europeo, come gli asili nido aziendali, destano sorpresa. Ecco anche che una sentenza della Corte Costituzionale di questi giorni – che riconosce alla donna di poter attribuire liberamente il suo cognome al figlio che così potrà avere un doppio cognome – viene vista come “storica”. Sì, lo è senza dubbio, anzi, la Corte Costituzionale dovrebbe intervenire maggiormente a garanzia dei diritti degli individui, ma ciò è quasi un “atto dovuto”. Quello che da oggi si dovrebbe garantire alla donna, non è una quota rosa in parlamento, non è un codice rosa in ospedale (o almeno non solo), non è un doppio cognome. Quello che i governi e la società dovrebbero fare è mettere in pratica tali diritti, fornire le strutture adeguate che possano consentire alla donna lavoratrice di essere anche madre e di potersi prendere maggiormente cura del proprio bambino che ha bisogno della sua figura nel suo percorso di vita, favorire e sostenere – anche attraverso un’adeguata riforma del lavoro – quelle donne che sul lavoro sono discriminate.