Sulle dimissioni di Giorgio Napolitano oggi leggerete e sentirete di tutto. Per tanti è stato il salvatore della Patria. Colui che ha impedito nel 2011 al Paese di precipitare in una crisi senza fondo (come se da allora ci sia da stare allegri…). Il Capo dello Stato che si è inventato le larghe intese dopo avere fatto fuori il governo Berlusconi legittimamente eletto ( guarda tu cosa ci tocca fare in queste note: difendere il Cavaliere). Altri scriveranno che in quella occasione è arrivato a nominare Mario Monti senatore a vita qualche giorno prima di dargli l’incarico di fare stare tutti, destra e sinistra, assieme nel Governo. Alcuni lo chiamano consociativismo, ma Giorgio Napolitano ha caratterizzato la sua lunghissima carriera politica lavorando sempre per fare stare tutti assieme. Odia gli incroci e le vie parallele. Tutti dentro in un bel rettilineo. Altri diranno che ha accettato con sacrificio la rielezione sempre nell’interesse supremo dell’Italia. Alcuni sostengono che ha brigato (lecitamente s’intende) per farsi rieleggere. Due degli ultimi tre presidenti del Consiglio non sono stati eletti dal popolo, ma nominati dai partiti, e approvati dal Presidente. L’ultima volta che si è votato per le elezioni nazionali gli lettori hanno bocciato le larghe intese guidate da Monti e l’incarico di Napolitano, dopo un timido tentativo di Bersani, mandato allo sbaraglio, è andato al nipote di Gianni Letta che dall’opposizione governava per conto di Berlusconi assieme al centrosinistra. Poi il capolavoro Renzi, difeso dal Capo dello Stato contro l’antipolitica dei gufi, anche aldilà delle prerogative costituzionali. Tutto questo, oltre agli innumerevoli ringraziamenti, sentirete e leggerete. Noi che possiamo aggiungere? Niente, anzi no, ricordiamo la sua resistenza, a volte anche antipatica, a testimoniare nel processo sulla trattativa Stato-Mafia e i suoi tentativi di sottrarsi all’inchiesta della magistratura. Ma ora, per la serie al peggio non c’è mai fine, aspettiamo il successore.
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