Il 2015 verrà ricordato come l’annus horribilis dell’antimafia. Da una parte le indagini che hanno coinvolto rappresentanti di quel mondo dell’impresa che attraverso Confindustria Sicilia sembrava aver rotto con le connivenze criminali del passato. Dall’altro, gli scandali emersi nella gestione e nell’amministrazione dei beni confiscati, di cui il “caso Saguto” costituisce solo la punta dell’iceberg. Tutto ciò, naturalmente, mentre quel famoso cerchio intorno alla latitanza di Matteo Messina Denaro non è riuscito a stringersi del tutto, consegnando alla comunità complici e affiliati, ma non il boss castelvetranese.
La sensazione, però, è che ci sia una sorta di cupio dissolvi che vorrebbe gettare via non solo l’acqua sporca (auspicio legittimo, oltre che necessario), ma anche il bambino. Ora, se è vero che la lotta alla mafia si fa anche evidenziando le contraddizioni di chi utilizza l’antimafia come un passamontagna per perseguire i propri interessi personali e le proprie carriere (salvo poi dismetterlo non appena non lo ritiene più utile), appare qui doveroso ricordare che esistono anche realtà che hanno saputo interpretare con coraggio e dignità il proprio ruolo di baluardi della legalità sul territorio. In questa sede, in particolare, il pensiero va a Libera, la rete delle associazioni fondata da don Luigi Ciotti, spesso oggetto di critiche e severe reprimende.
Per come la conosco io, che ho avuto modo di frequentarla a più riprese sul territorio, trovando coerenza, coraggio, dedizione, Libera è una realtà preziosa. Li ho visti e li ho sentiti i suoi militanti andare nelle scuole e trovare le parole giuste per raccontare a giovani spesso poco informati (se non ostili) le storie delle vittime della mafia. Li ho visti andare a dare sostegno ai loro familiari, diventare punti di riferimento credibili per i residenti dei quartieri popolari, accogliere rifugiati, organizzare incontri aperti alle scuole o alle città, ma anche andare a pulire beni confiscati da restituire all’economia legale, armati di scope, sacchetti e ramazze. Attività a cui troppo spesso noi, operatori dell’informazione, riserviamo meno spazio di quanto dovremmo. Quando, addirittura, non decidiamo di censurarle con supponenza, convinti che ben altri siano gli strumenti per condurre la lotta alla mafia, senza capire che non esiste un’unica ricetta per annientare Cosa Nostra: occorre un canto corale, capace di mettere assieme strumenti e note diverse. Come avvenne con il Comitato di Liberazione Nazionale ai tempi della nascita dell’Italia Repubblicana. Probabilmente, solo tra qualche anno ci accorgeremo che i semi sparsi da Libera sono già diventati preziosi germogli. Se proprio non riusciamo a nutrirli, cerchiamo quantomeno di non farli seccare.