Da Agitu a Sambe per demolire il fatalismo della disparità

Chiara Putaggio

Da Agitu a Sambe per demolire il fatalismo della disparità

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venerdì 01 Gennaio 2021 - 07:00

Vai e sorti, dunni vai ta porti” (Guai e sorte dove vai te li porti). È tragica questa visione del futuro. Ci mostra senza scampo. Demolisce il motto umanista dell’ “Homo faber ipsius fortunae” e ci fa bandoli preda del fiato del fato. A vedere il tragico epilogo di Agitu Gudeta sembrerebbe che l’antico proverbio siciliano abbia proprio ragione. Agitu ha lottato contro il “destino” ed è fuggita dall’Etiopia. È venuta in Italia e ha studiato Sociologia a Trento (impossibile non pensare a Mauro Rostagno) poi è tornata in Africa. Ha lottato anche lì, salvo poi tornare nel nostro Paese con lo status di rifugiata dove è diventata esempio di imprenditoria femminile. Ha messo su un’azienda dove ha fatto fruttare la sapienza tramandatale dalla nonna sull’allevamento delle capre e sulla caseificazione e superandola dando vita ad una filiera bio che comprendeva anche la produzione di cosmetici realizzati col latte della capra mochena (autoctona dei boschi del Trentino). Agitu ce l’aveva fatta. E invece no. La sua vita è stata spezzata da un suo dipendente africano che dopo averla barbaramente colpita alla testa (a suo dire per uno stipendio non pagato), ha abusato di lei, agonizzante. È qui che sta l’acme dell’orrore. Lo schifo che va oltre la tragedia. Il duplice femminicidio che appare come la non sopportazione da parte di un piccolo maschio che una donna sia il suo capo, tardi a pagarlo (ancora da verificare) e gli si neghi. È qui che sta il nodo.

Nel sud del mondo – ma decisamente non solo – non si contano più i casi di abuso sessuale. È una mortificazione che è indice di una concezione del potere, del dominio che non si puo’ piu’ sopportare neanche per un minuto. Questa becera distinzione è diventata nella testa dei piccoli maschi dovere di sottomissione, ma Agitu era colta, coraggiosa, bellissima, abile, completa. In Italia si sentiva salva. Ma è tutto il mondo ad essere malato di disparità e allora il mondo, tutto deve essere curato, ma subito. Forse il mare è la risposta.

Khadjou Sambe, 25 anni, è la prima surfista professionista del Senegal, e insieme a Rhonda Harper, hanno dato vita a Black Girls Surf (BGS), una scuola di formazione per ragazze e donne che vogliono competere nel surf professionale. Fino a qualche anno fa questo sport era vietato alle donne ed è stata proprio la nonna di una delle due atlete ad aiutare la nipote a lottare contro regole insensate. Sambe andò in California nel 2018 per allenarsi con le Black Girls Surf e conta di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo. Ha iniziato a cavalcare l’oceano in Senegal per danzare sopra gli oceani di tutto il mondo… sì perché non è per forza vero chi “Vai e sorti dunni vai ta porti”, ma è sempre vero che “U munnu è tuttu oro pi cu u sapi cogghire”.

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