Parliamoci chiaro. Quando un caro vecchio amico decide di farla finita togliendosi la vita, le conseguenze del suo gesto scellerato si distribuiscono come l’acqua nel principio dei vasi comunicanti. Non importa quanto profondo sia nel presente il grado di confidenza, la nostra influenza, l’ ascendente su di lui. Non è rilevante nemmeno se siano trascorsi 10 o 15 anni dall’ultima volta che lo abbiamo visto. Il dolore che prova chi perde una persona di cui si è stati veri amici una volta, viene percepito sempre allo stesso livello di intensità. Perché un amico è sempre presente, anche nel silenzio della contumacia, o nella sospensione della distanza, in quella parte di vita pulsante che è solo nostra: la memoria. E non conta se le nostre strade si siano irrimediabilmente divise e le distanze ormai siano diventate incolmabili. O se per tutto questo tempo non si sia mai trovato il coraggio di tornare a cercarsi. Per paura forse di non aver nulla da dirsi o, più probabilmente, per non rovinare il fulgido ricordo cristallizzato di quella splendida parentesi di vita trascorsa insiem
La prova dell’amicizia, qualora ce ne sia bisogno, è lì a portata di mano: in quel dolore puntuto, diffuso, pungente ed intermittente che sembra fare strame di noi quando un amico ci lascia in questo modo così ingiusto. Ci si sente devastati e increduli, il cervello si appanna e non si fa altro che pensare a quelle scintillanti giornate di un tempo, di trent’anni fa, quando appena maggiorenni, nel fiore della nostra giovinezza, ci affacciavamo pieni di speranza di paure ed incertezze alle prime difficili prove della vita da adulti.
Andrea fece la sua prima apparizione all’interno della nostra compagnia a bordo della sua inseparabile Renault 4 bianca con il tettuccio apribile, con quel cruscotto pieno di cianfrusaglie e una serie di cassette di Pino Daniele, dei 99 Posse e degli Almamegretta, con in mano l’immancabile busta di tabacco sfuso. Aveva già conquistato tutti attraverso i suoi occhietti buoni e furbetti, quella testa piena di indomabili riccioli neri e il suo inconfondibile meraviglioso sorriso, incorniciato da due file di denti bianchissimi, e costantemente stampato sul suo invidiabile profilo medio-orientale. Era lui in tutta la sua essenza: Andrea della “prima maniera”.
Fece breccia nel cuore di tutti noi quando ci spiegò che lì, nel tratto di mare fra Biscione e Sibiliana, nascosto fra le rocce scoscese di una baia, si trovava un posto speciale, un posto dell’anima. Da lì, sembrava dirci, da quella prospettiva oltre quella roccia sagomata dalla vaga forma di un marinaio (il basco, la pipa, il nasone, il mento prominente) si poteva guardare l’infinito, oltre l’orizzonte. Era quello che lui aveva fieramente battezzato “il marinaio calato pensante”. Un posto incantato che piano piano era diventato il nostro punto di applicazione, un luogo di incontro, di scambio e di riflessione.
Conservo nitidi ricordi della sua incontenibile e contagiosa gioia di vivere, quando cercava di convincerti della bontà di qualcosa che lo entusiasmava;“ma ‘u sai ch’è bello!”continuava a ripetere mentre provava a manipolare bonariamente la tua opinione.
Andrea era un irrefrenabile vulcano di idee, spargitore seriale di entusiasmo e campione indiscusso di soft power, come diremmo oggi. Riusciva sempre dove gli altri automaticamente fallivano: a convincerti, ad esempio, tramite il potere espressivo dei suoi occhi. Andrea era una risorsa inesauribile di ingegno e fantasia per tutti e tutti facevano a gara per farselo amico. Era certo un vanto annoverarlo all’interno della nostra compagnia, e mal sopportavamo quando, da libero uccel di bosco qual’era, lo si sorprendeva a scorazzare ora presso questo o presso quell’altro gruppo. Deroga che comunque gli veniva concessa esclusivamente ad personam. Negli anni 90 infatti, i gruppi o meglio le “compagnie” erano una cosa seria, tanto che per accedervi, non era infrequente dover superare ardite prove.
Purtroppo, dietro a questa facciata di ottimismo e positività, ciascuno lo poteva intuire, si muovevano senza posa le sabbie mobili di un’infelicità cronica, una irrequietezza proiettata su un insondabile precipizio. E la lotta dichiarata contro i suoi fantasmi interiori non era solo che all’inizio. No, non era un mondo fatto su misura per lui quello là: sognatore idealista, indipendente e, a suo modo, resiliente nei confronti delle cerimonie della vita, spirito libero e sensibile, di una emotività debordante fin troppo marcata per poterla tenere legata al guinzaglio. Una irrequietezza che con il tempo sembrò aumentare in maniera esponenziale, costringendolo a passare da una cosa all’altra, da un progetto all’altro, in un vortice, una spirale vertiginosa senza mai una tregua, un sollievo o il conforto di un approdo.
Nella sua “seconda maniera” Andrea era diventato un’altra persona. Sembrava incupito, ossessionato, si sentiva in qualche modo perseguitato. Intuiva questa sua nuova condizione di reietto, probabilmente si lacerava al pensiero di aver perso per strada le sue qualità migliori, e di certo soffriva per il fatto di essere trattato come un capriccio della natura. Negli ultimi tempi, sembrava pure essersi votato alle sacre scritture, come si intuiva dall’incredibile densità di versetti biblici che riusciva ad infilare fra un post e l’altro. Lo splendido Andrea di un tempo, orgoglio dei suoi amici, era diventato dunque qualcos’altro: una persona problematica, difficile da trattare, spesso scontrosa, livorosa in alcuni casi, che non accettava il minimo confronto e che appariva ormai irrimediabilmente schiava dei propri mostri interiori.
Il suo addio lascia ancora più sgomenti e pieni di amarezza. Sembra il finale già scritto di una immane tragedia greca. Ci si chiede, soffocando dentro l’ennesimo amaro conato di rabbia, se non si sarebbe potuta evitare questa tragedia, se ciascuno di noi, nel nostro piccolo, non avesse potuto aiutare a scongiurare, anche per mezzo di una sola parola, quel suo ultimo gesto di estrema gravità e, tuttavia, di atroce consapevolezza… Probabilmente no, ma il disagio di questo interrogativo rimane.
Non c’è altro modo per ricordarlo se non immaginandolo con gli occhi dolci e spalancati alla vita, al sogno di quella vita che trent’anni fa si apriva al mondo, alle nostre magnifiche speranze di futuro. Quando eravamo giovani e belli e il mondo ci era ancora sconosciuto.
Un vecchio amico comune mi ha scritto ieri sera: “…aveva una sensibilità diversa, più grande di quella di ognuno del gruppo, ed era evidente già allora, spesso anche per noi in certi momenti era complicato entrare nel suo mondo, un mondo che lui gestiva su un sottile filo tra “follia” e razionalità. Poi le terribili vicende che ha vissuto insieme alla sua famiglia hanno iniziato a rompere quell’instabile equilibrio…Ma stasera mi ha fatto molto più male ascoltare il dolore di suo fratello, che stamattina ha trovato Andrea appeso ad un albero quando stava iniziando a credere di averlo ritrovato dopo 10 anni …ed era devastato per non essere riuscito a salvarlo…”.
Con Andrea se ne va per sempre una parte di noi, quella migliore.
Riposa in pace, amico fragile.
Io non ti dimenticherò.
In tanti non ti dimenticheremo.
Mai.
[ Gianvito Pipitone ]