Le manette di Ilaria Salis i diritti negati nel cuore dell’Europa

Vincenzo Figlioli

Punto Itaca

Le manette di Ilaria Salis i diritti negati nel cuore dell’Europa

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mercoledì 31 Gennaio 2024 - 06:30

Manette ai polsi. Manette alla caviglie, con un paio di lucchetti in bella vista. E una sorta di guinzaglio, con cui un agente penitenziario la teneva ulteriormente sotto controllo. Così Ilaria Salis si è presentata in Tribunale per l’udienza preliminare del processo in cui è imputata in Ungheria. Da un anno la 39enne insegnante brianzola si trova in arresto con l’accusa di aver aggredito un gruppo di neonazisti nel corso di una manifestazione e adesso rischia fino a 11 anni di carcere. Fa male vedere immagini del genere nel cuore dell’Europa, in uno Stato che con Orban al governo ha intrapreso una deriva autoritaria che non sembra conoscere freni. Al duro regime detentivo cui Ilaria Salis è sottoposta, si aggiunge anche la difficoltà a difendersi dalle accuse mosse nei suoi confronti e rispetto a cui si è sempre professata innocente.

Pur facendo parte dell’Unione Europea, l’Ungheria di Orban appare distante anni luce dal rispetto dei principi e dei valori a cui i Paesi membri sono chiamati, eppure la sensazione è che ci sia un’inconcepibile tolleranza da parte della comunità internazionale verso la progressiva erosione dei diritti in atto. Alcuni Paesi, piuttosto, hanno spesso avuto parole di stima e ammirazione verso il sovranismo di Orban. Tra questi, purtroppo, anche le forze politiche che in Italia fanno parte della coalizione di maggioranza: Salvini e Meloni non hanno mai nascosto le proprie simpatie verso il premier magiaro, di cui hanno spesso condiviso le posizioni di chiusura sul fronte dell’accoglienza ai migranti. Questo spiega anche l’atteggiamento tiepido del governo italiano rispetto alle sorti di Ilaria Salis e dei suoi familiari, che in questi 12 mesi non hanno sicuramente sentito il supporto delle istituzioni italiane, come se le idee antifasciste della 39enne insegnante lombarda la rendessero meno meritevole di protezione agli occhi dell’esecutivo. E dire che nel nostro Paese, negli anni immediatamente successivi all’inchiesta “Mani Pulite” si è sentita l’esigenza di adottare leggi come quella del cosiddetto “giusto processo” o del “legittimo sospetto” per ampliare le garanzie e assicurare agli imputati la massima tutela da condizionamenti ambientali. Evidentemente, i parlamentari del tempo non pensavano a vicende come quelle di Ilaria Salis quando reputarono urgente procedere alle citate modifiche legislative.

La crescente attenzione mediatica, fortunatamente, sta accendendo i riflettori su questa storia. L’auspicio è che le massime istituzioni politiche non si accorgano delle delicatezza del caso quando, magari, sarà già troppo tardi. Com’è accaduto, purtroppo, otto anni fa con Giulio Regeni.

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