I lupi cattivi e il branco contro il patriarcato

Claudia Marchetti

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I lupi cattivi e il branco contro il patriarcato

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mercoledì 30 Agosto 2023 - 10:40

“Guarda come son tranquilla io/Anche se attraverso il bosco/Con l’aiuto del buon Dio/Stando sempre attenta al lupo/Attenti al lupo…”. Il brano scritto da Ron per Lucio Dalla, raccontava, già negli anni ’90, le insidie che si possono celare nel percorso della nostra vita. I lupi, i predatori, si nascondono nella nostra società. Ci sfiorano, ci passano accanto, qualche volta, purtroppo, li incontriamo.

La cronaca nera ci ha sempre consegnato principalmente donne vittime di brutture, di serial killer o di compagni, mariti, fidanzati, padri violenti. Se oggi siamo arrivati a parlare di un vero e proprio “allarme sociale”, quello della violenza di genere e dei femminicidi, vuol dire che la comunità largamente intesa ha avvertito un pericolo imminente e serio e la conseguente urgenza di ricevere una tutela adeguata.

Ci prova il Codice Rosso e ci provano tutte le associazioni e i centri Antiviolenza che si occupano dei fenomeni che minacciano la vita, la dignità, l’indipendenza di una donna, di una bambina e più in generale di tutti i soggetti indifesi e cosiddetti ‘deboli’. Ma non basta il più delle volte. Anche con una tutelata più stringata, ci sono dei ‘buchi’ ancora da colmare.

Ma veniamo di nuovo ai lupi. Questa settimana ci sono stati due tipi di lupi.

Partiamo da quelli cattivi: il giornalista Andrea Giambruno, compagno della premier Giorgia Meloni, intervenuto in tv per parlare dello stupro avvenuto a Palermo, ha affermato esattamente quello contro cui i centri antiviolenza combattono da anni: gli stereotipi della violenza.

“Se eviti di ubriacarti, eviti di incontrare il lupo” dice. Un pò come “Se non indossi una minigonna, non ti stuprano”. Stereotipi che non sono mancati, negli anni, persino all’interno delle aule giudiziarie e che il Codice Rosso tenta di ‘ribaltare’: per chi abusa di una donna (o più in generale un essere umano) che viene messa in condizioni di inferiorità, o che si trova in una situazione di alterazione psicofisica nel momento della violenza, la legge prevede delle aggravanti.

Gentile Giambruno, faccia una ‘bella’ cosa: vada di nuovo in televisione e ritiri la frase grave che ha pronunciato all’intera Nazione. Dica pure che farà il suo percorso di informazione corretta, come quella che dovrebbero fare alcuni suoi colleghi quando scrivono di casi di abusi e di quel “l’ha uccisa perchè l’amava troppo”. Lei ha una responsabilità tanto quanto la sua compagna che, tempo fa, intervenne misuratamente ma non in difesa del figlio di Ignazio La Russa, accusato di violenza sessuale. In un altro Paese europeo, senza andare lontano, un premier si sarebbe dimesso per molto, molto meno.

E veniamo ai lupi buoni. Quelli che fanno branco contro il nemico.

Nei giorni scorsi, il cantautore Ermal Meta – che la violenza familiare l’ha vissuta e raccontata più volte, lui che è fuggito dall’Albania per approdare in Italia con la mamma e due fratelli – è intervenuto duramente sullo stupro commesso da un gruppo di giovanissimi su una ragazza di 19 anni nel capoluogo siciliano. In una delle due esternazioni, Ermal Meta ha sottolineato come sia necessario una maggiore protezione perchè la violenza sessuale per una donna significa condanna a vita, vuol dire minare per sempre la sua serenità, la sua dignità, il suo futuro e anche, un giorno, se vorrà, l’essere madre.

Quest’ultima affermazione però, è stata l’unica ripresa dalla blogger e opinionista Selvaggia Lucarelli che ha male interpretato la frase di Meta, chiosando: “Ah quindi una donna non può essere violentata perchè è macchina per fare figli”, in sostanza.

Meta non aveva inteso affatto questo. Una frase non si può estrapolare da un contesto lucido e preciso. Da qui è partita una vastissima solidarietà nei confronti dell’artista che ha condiviso nelle sue storie Instagram una serie di messaggi privati di donne dalle età più disparate che hanno scritto ad Ermal Meta raccontando, a volte con puntigliosità, tutte le molestie e le violenze sessuali subite da zii, nonni, fidanzati, amici, padri, vicini di casa, preti, ecc. Una sfilza indefinibile di storie allucinanti, un centinaio, da magone allo stomaco, che fanno male.

Se si pensa che Ermal Meta ha oltre 620mila follower i dati sono davvero preoccupanti. La maggior parte di queste testimonianze anonime – ben descritte, dolorose ma tragicamente coscienti – raccontano di casi mai denunciati nel passato per paura di non essere capite, non essere comprese persino dai propri familiari. Altre raccontano di aver parlato e di non essere state credute; sono meno invece coloro che hanno denunciato alle autorità giudiziarie. E soprattutto una cosa accomuna la gran parte di queste storie: l’essere state abusate in tuta, in jeans, in pigiama, con la febbre, a casa, senza trucco, ecc.

In tante, veramente tante, hanno deciso di non avere figli, non solo per le conseguenze fisiche dolorose riportate, ma principalmente per non mettere al mondo essere umani che finiranno inevitabilmente per essere inghiottiti nella spirale negativa generata da una donna abusata. Perchè si sa (e se non lo sapete ve lo ricordiamo), un trauma genera un effetto domino per generazioni.

Gentile Giambruno, spero che gli unici lupi che le vittime di violenza sessuale possano incontrare, sia un branco che fronteggia uno stupido nemico. Il becero patriarcato.

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