Dal 1991 al 2023 sono 370 i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Calabria, Campania, Sicilia e Puglia sono le regioni in cui tale provvedimento è stato applicato più volte, alla luce della più radicata presenza delle organizzazioni malavitose (‘ndrangheta, camorra, cosa nostra, sacra corona unita) e dei frequenti tentativi dei boss di inserirsi nelle dinamiche amministrative. Nel trapanese ci sono stati otto decreti di scioglimento in 30 anni: due volte è toccato a Campobello, una volta a Castelvetrano, Castellammare, Partanna, Pantelleria, Salemi e Mazara. In altre occasioni, i rappresentanti politici del territorio hanno anticipato un eventuale intervento del Ministero dell’Interno, decidendo di dimettersi in massa (a Marsala si scelse questa via nel 1993 e nel 2005) per evitare l’onta dello scioglimento, che rappresenta un marchio di infamia per una comunità democratica.
Le indagini sulla campagna elettorale delle ultime amministrative a Petrosino sta riproponendo il tema, innescando un dibattito delicato, da cui passa il futuro della città. Al di là della posizione del consigliere Michele Buffa, immediatamente sospeso dalla prefettura di Trapani dopo l’ordinanza di custodia cautelare, bene ha fatto Aldo Caradonna – da semplice indagato – a fare un passo indietro dalla carica di presidente del Consiglio comunale.
Il 20 marzo il massimo consesso civico petrosileno tornerà a riunirsi per approvare il rendiconto dell’esercizio finanziario 2021 e sarà la prima occasione ufficiale, dopo gli arresti della scorsa settimana, in cui i componenti dell’assemblea si ritroveranno assieme all’amministrazione. Senza nulla togliere ai punti inseriti all’ordine del giorno, sarebbe auspicabile un dibattito serio e franco, nella massima trasparenza possibile, in cui sindaco, assessori e consiglieri decidano assieme cosa fare. Esattamente come avvenuto qualche mese fa, quando si è discusso del possibile dissesto economico dell’ente.
Prima della magistratura, prima del Ministero, è opportuno che i rappresentanti eletti dai cittadini assumano una posizione chiara, definitiva su questa vicenda. Se gli attori qui chiamati in causa ritengono che l’indagine per voto di scambio sia un caso isolato in una campagna elettorale pulita e cristallina, allora è giusto che si vada avanti. Se, invece, in piena onestà intellettuale, si fosse a conoscenza di altri accordi, altre interlocuzioni riprovevoli con la mafia locale, allora farebbero bene – consiglieri e amministrazione – a rassegnare le proprie dimissioni.
A prescindere dalle responsabilità individuali, che toccherà alla magistratura individuare, sarebbe il modo migliore per tutelare l’immagine di una comunità piccola ma dalla forte identità, che con l’onorevole Francesco De Vita ha contribuito a scrivere quella Costituzione repubblicana che all’articolo 54 mette nero su bianco un principio che nessuno dovrebbe mai dimenticare, sia nell’esercizio dell’elettorato attivo che di quello passivo: “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.